Ho il ricordo preciso del momento in cui ho visto, per la prima volta, Angelo Maddalena: era il dicembre del 2003 e se ne stava seduto sul divanetto di una sala dell’Alpheus, discoteca con vista sul Gazometro di Roma, e parlava con mia moglie. L’impressione fu quella di vedere Gesù Cristo che tenta di rimorchiarsi la tua consorte. Insomma, non proprio una bella sensazione. Quindi mi sono avvicinato coi bicchieri che avevo in mano, e con grande nonchalance ho salutato educatamente e somministrato due o tre battute esplorative, tanto per capire le intenzioni del ragazzo barbuto uso Messia, e se dovessi davvero scatenare, seduta stante, un duello rusticano. Venne fuori che il barbuto aveva sì appiccicato discorso alla mia signora, ma la chiacchiera s’era evoluta nell’elencazione dei conoscenti comuni, datosi che il Barbuto era Maddalena Angelo (cognome Maddalena, nome di battesimo Angelo), proveniente da Pietraperzia, Enna, e quindi conterraneo e pure vicino di casa, poiché Pietraperzia (CAP 94016) confina con Piazza Armerina (CAP 94015) finanche nel codice di Codice d’Avviamento Postale.
Anzi, ci rivelò il barbuto: ma quali vicini, compaesani proprio!, in quanto, per faccende familiari lunghe da narrare, e pure noiose, aveva trasferito la residenza, nonché i bagagli e gli effetti personali, in contrada Malanotte, che ricade proprio nel territorio di Piazza Armerina.
Poi facemmo amicizia, mia moglie mi garantì, in colloquio privato, che non aveva intenzione alcuna di fuggire con lui e, a suggello dello scampato adulterio, proposi di dargli una mano nella presentazione del suo libro, “Un po’ come Giufà”, che rappresenta bene, sin dal titolo, la persona e il personaggio di Angelo Maddalena.
Quella serata lì, all’Alpheus, durante la quale mi produssi in pregevoli arpeggi di chitarra su tre accordi mentre lui leggeva le pagine del suo libro, fu il primo atto della mia relazione personale, telefonica e letteraria con Angelo Maddalena, proseguita con una sua visita in casa mia mesi dopo, con la presentazione del suo libro a Villarosa (CAP 94010), con frequenti telefonate condite da una pulce nell’orecchio.
Pulce nell’orecchio consistente nel suggerirmi di portare l’editor principe di Sironi editore a Piazza Armerina per tenere un corso di scrittura creativa. Voi giovinetti non potete ricordare che, in quei giorni, Giulio Mozzi, col suo Vibrisse (dovremmo aprire un lungo inciso, ma no, cercate su google che c’è tutto lì) regnava sui litblog italiani ed era riferimento costante ed autorevole di ogni discussione sulla scrittura creativa, l’invenzione delle storie, gli autori esordienti, lo scouting letterario e tante altre cose. E fu per colpa o merito di Angelo Maddalena se mi trovai a organizzare ben due corsi di scrittura condotti da G.M. nel centro della Sicilia, monti Erei. G.M. non lo sa ma, sui monti Erei, la sua presenza è classificata al terzo posto tra gli eventi più importanti negli ultimi 2158 anni. Prima solo la rivolta servile di Euno del 136 a.C. e la visita di Papa Francesco il 15 settembre 2018.
Andiamo avanti. Angelo Maddalena è una persona che fa di tutto per traslare tutto sé stesso nella finzione narrativa. Si è talmente immerso nel personaggio che rappresenta da rendermi difficile distinguerli. E il personaggio, lui lo sa, lui lo vuole, è Giufà. Un Giufà che, dopo un diploma da geometra se ne parte per Milano e va a studiare (e perfino a laurearsi in materie letterarie) alla Cattolica. Non perde nemmeno una briciola dell’accento del paese natio, né l’abitudine di dialogare in dialetto, sicché, quando ci sentiamo per telefono, vengono fuori chiacchierate in un gramelot farcito di pietrino, gallo-italico e siciliano, ma talvolta contenente anche qualche espressione in italiano o umbro, giacché in Umbria il nostro s’è trasferito.
Viaggi. Ecco, già in “Un po’ come Giufà” Angelo parla dei suoi viaggi in Spagna (e anche in Francia?, boh, non ricordo, ma in Francia Angelo c’è stato). Poi ha visitato l’Europa e, ovviamente, viaggiato su e già per l’Italia, isola compresa (la Sardegna, in Sicilia c’è nato). Anzi, ricordo di quando m ha raccontato della disavventura sarda: la visita a un centro sociale anarchico che rischiò di finire in linciaggio perché un Compagno aveva scoperto che Angelo aveva denunciato alla polizia un tizio che voleva rubargli la bicicletta. Ora, dissi ad Angelo, tu te ne vai in giro, vivi tuo malgrado avventure che sono bellissimo materiale narrativo. Scrivi di questo, no? E lui ne ha scritto (per esempio: un diario del viaggio in Argentina; un libriccino dal titolo “Amico treno, non ti pago”, dove racconta del suo principio di viaggiare in treno senza biglietto, I diari della bicicletta, e altro ancora).
Ma Angelo Maddalena non ha scritto solo questo. Ha anche tradotto il romanzo “Rue des italiens”, di Girolamo Santocono, che racconta la vita dei Ritals in una cittadina mineraria del Belgio. A oggi, per quanto mi risulta, “Rue des italiens” è ancora l’unica opera di Santocono tradotta e commercializzato in Italia.
Autoproduzioni Malanotte. Il lettore accorto si è già reso conto che di Malanotte s’è parlato molte righe su. Era il posto che Angelo Maddalena aveva eletto a residenza legale. Adesso non ci abita più: dice di vivere in Umbria, sul lago Trasimeno.
Era il 2011, avevo appena pubblicato con Nulla Die il mio libretto di racconti “L’impavida eroina eccetera” e mi giunse la proposta di presentarlo a casa sua. Vieni, mi fa, cè un gruppetto di amici, parliamo del tuo libro, beviamo un po’ di vino. Fu proprio quella sera, sicuramente confuso da un bicchiere di troppo, che gli chiesi: ma come si chiama questo posto? Contrada Malanotte, mi fa lui. Malanotte?, dico io, nome bellissimo per una casa editrice. Non potevo immaginare che Angelo s’inventasse editore di una casa editrice che non c’è, e cominciasse a pubblicarsi le sue cose con il marchio Autoproduzioni Malanotte. Ho qui, sulla scrivania, il catalogo della Autoproduzioni Malanotte 2013-2021. Contiene l’elenco delle produzioni (letterarie e musicali in CD) che va poi proponendo in giro, poeta narrante e cantante, e scrittore ed editore vagante. Una figura picaresca e romantica da artista di strada. Cantastorie, verrebbe da dire, se non fosse che quello del cantastorie una definizione che rischia di imprigionare Angelo Maddalena in una dimensione che, in realtà, non è sua. Perché quello del cantastorie è un mestiere (estinto o quasi estinto, direi) espressione di una immagine fossile della Sicilia, tutta lupare e questioni d’onore, talvolta con sussulti di rilettura in chiave diversa. Rilettura residuale, direi, che non è riuscita richiamare l’attenzione di un pubblico che non è più quello ingenuo e ignorante delle piazze di paese. No, Maddalena è un fuoriuscito, un transfuga della società moderna. Viene da una terra antica, ha toccato, da giovane, la modernità e il mondo industriale e li ha rifiutati per vivere di ciò che sa fare: cercare luoghi e storie e raccontarli dopo averli filtrati attraverso la propria memoria, la storia della propria famiglia, una particolarissima sensibilità che gli fa mettere insieme il socialismo degli anni ‘20, i Fasci Siciliani, Ivan Illich e la convivialità, i viaggi a Lourdes della madre, l’anarchia, Marco Camenish, i centri sociali, il Covid, l’immaginario collettivo della Sicilia interna, la curiosità e tante altre cose ancora.
Sulla scrivania, assieme al catalogo di cui ho detto prima, ho una copia del suo romanzo “Agitatevi con calma”. La quarta recita: “Angelo M. Ricompone una trama con nomi e cognomi noti (Sandro Pertini, tra gli altri) e ‘sconosciuti’ … Ne viene fuori un profilo di socialista siciliano che si confronta con amici anarchici, cattolici come sua madre, Maria Cipolla, vicina al pensiero di Don Luigi Sturzo, altra figura portante della trama; i martiri socialisti siciliani (Canzio, Alongi, Panepinto, Salvatore Carnevale) e le mancanze dei dirigenti socialisti degli anno ‘20, Belgrado Pedrini e l’amnistia di Togliatti, Silvio Milazzo e Fanfani; tra documenti e spunti romanzati, riemerge l’articolo del giornale l’Avanti del 1954 che fa chiudere una pasticceria di Palermo dove si vendevano confetti all’eroina.”
L’ho sfogliato, questo libro: è abbastanza ponderoso, più di 300 pagine e fisicamente pesante. L’ho letto qua e la. Sta sul comodino, in attesa di lettura completa. La prima impressione è stata che forse avrebbe bisogno di una impaginazione migliore, di un editing che sappia meglio allinearlo con le tendenze del mercato. Forse, ecco, andrebbe snellito un po’. Ma sono cose che si ragionano a libro letto o quasi, e non quando lo si è sfogliato qua e là e leggiucchiato a caso. Forse, invece, va benissimo così. È scritto con lo stile, i tempi e la voce di Angelo Maddalena, che dagli usi e costumi del salotto buono è fuggito una bel po’ di tempo fa. Le storie le scrive come sente debbano essere scritte. Se poi sono buone storie, storie che funzionano, storie che recuperano il nostro passato e la nostra anima, sta al lettore giudicarlo.
Il sottoscritto, modesto e limitato testimone della compresenza di Angelo Maddalena nel suo medesimo tempo e in luoghi geografici inizialmente vicini, non può che prendere atto dell’esistenza di A.M. e constatare che è un ottimo personaggio del quale scrivere e tentare di raccontarlo.