di Mauro Mirci
Nella notte dei tempi, quando gli dei percorrevano la terra, Ade rapì la giovanissima Kore e la condusse con sé nel mondo ctonio. Demetra, madre di Kore, giustamente irata per il sopruso di Ade, disattende ogni suo compito, con grave danno per il mondo è l’umanità, che precipita quindi in un inverno perenne, durante il quale le messi non maturano e gli alberi non producono più frutto. Zeus, allora, invia una messaggera a Demetra, una mediatrice con lo scopo di placare l’ira della madre affranta. Quella messaggera è Iride. Il mito di Kore/Persefone è nato sulle sponde del lago di Pergusa, vicino a Enna. Sono pochi chilometri da casa mia. Mi è impossibile non percepire Iride come l’anello di una catena che mi congiunge al romanzo di Francesco Randazzo, dove Iride è presente e partecipa alla narrazione con la sua voce “fuori campo”. Il vero amore è una quieta accesa è l’ultimo arrivato di una serie di opere, varie per genere e temi – ma tutte eleganti nello stile e per gli argomenti affrontati – dato alle stampe per i tipi della Graphofeel edizioni. Il titolo nasce dalla citazione di un verso di Ungaretti, in esergo. Sempre in esergo, Randazzo riporta anche un’altra citazione, di Milan Kundera, stavolta: quello che nella vita è insostenibile non è essere, ma essere il proprio io. Parole che, forse, sono ancor più adeguate delle altre a sintetizzare lo spirito di tutto il romanzo e dei due protagonisti.
Sono le arpie, inizialmente introdotte da Iride, a ispirare azioni e pensieri di Tommi e Leyla, due bambini diversissimi ma accomunati dall’alimentare, dentro di sé, una parte oscura e inattaccabile dalla felicità. Tommi e Leyla che, crescendo, mutano come crisalidi e si trasformano in Tommaso Aragona e Moira. Lui un medico, inventore di un congegno che consente ai ciechi di riacquistare la vista. Lei, figlia di ottima famiglia, beneficiata dall’invenzione di Tommaso, ma inquieta e in fuga da tutto.
È un romanzo, questo, tutto giocato su cambi di punto di vista e voce narrante. Randazzo mette fuori gioco il classico narratore onnisciente e assegna il compito di descrivere le scene alle figure del mito. Ognuna di esse è narratrice ma anche, come usuale nella narrazione delle leggende classiche, ispiratrice della storia e delle azioni dei protagonisti. È Iride che esplicita i ruoli e li rende intellegibili al lettore. Iride che vive nell’aria e ci presenta Leyla, una bambina cieca, e Tommi, un bambino ansioso. E sempre Iride che associa le sue sorelle agli elementi drammatici del romanzo: Aello, la bufera che alberga nel cuore di Leyla; Celano, l’oscurità nel cuore di Tommi; Ocipete, che vive nel corpo di entrambi e dà anima a quelle parti ove hanno sede la caparbietà, le passioni dell’amore sensuale, l’ira, la pulsazione ritmica e incontrollabile della vita: il fegato e l’aorta.
Nelle azioni dei due protagonisti si riconoscono i caratteri e gli impulsi delle arpie.
Tommi, bambino introverso e sofferente d’ansia. Intuiamo che è stato un nerd. Randazzo scrive: “Tommi è stato un bambino per molto tempo, molto più tempo del normale. Si è spinto ed è sopravvissuto oltre le soglie della pubertà”. E tuttavia Tommi scompare (la crisalide muore) quando il dottor Tommaso Aragona nasce (la falena?). Sempre Randazzo: “Tommi era un bambino e viveva in Sicilia. Tommaso è un uomo, uno che viene dalla provincia, un meridionale trapiantato a Roma da più di vent’anni. Un medico che non ha mai curato un paziente. Ma ha ridato la vista a molti”.
Leyla, bambina che precocemente inizia a perdere la vista. Il padre la consola dicendole che svilupperà altre capacità, altri poteri. Come i supereroi. “E qual è il mio superpotere?”, gli chiede lei, senza ottenere risposta. Leyla addestra animali guida. Sono pupazzi di peluche che però non la seguono, rimangono inerti e inutili, e per questo lei li annega nella piscina. Il fondo della piscina è cosparso di pupazzi rifiutati. Leyla ha una madre che inizia a non riconoscerla. È Alzheimer. Il marito decide di ricoverarla in una struttura di assistenza quando Leyla compie il diciottesimo anno di età. Lo stesso giorno Leyla lascia casa e prende a vagare per il mondo. Già Leyla ha incontrato Moira. Leyla e Moira. Tommi si trasforma in Tommaso quando il bambino smette di essere tale. Moira compare d’improvviso quando Leyla riacquista la vista grazie all’invenzione di Tommaso Aragona. “Sono stata espulsa”, dice Moira, “liberata dalla luce, troppa, troppa luce. Non sai ancora dosare le tue percezioni visive”.
Si incontrano (anzi, rincontrano. Tommaso aveva già incontrato Leyla bambina: lei portava occhiali blu con i puffi). Leyla vive in un’automobile abbandonata. L’auto è di Tommaso, gliel’hanno rubata e i carabinieri l’hanno ritrovata. Deve portarla via. Incontra Leyla, che non gli rivela il suo vero nome. La porta a casa sua. È attratto in maniera irresistibile da lei: “Puoi restare. Sarai la mia cagna”. E poi, quando lei lo invita ad attribuirle un nome: “Ti chiamerò Moira”.
È l’inizio della loro relazione. Selvatica. Senza futuro.
Tommaso trova un senso diverso alla propria esistenza. Ma nella sua anima alberga l’oscurità. Moira/Leyla si porta dentro la bufera e i fantasmi della cecità.
Il vero amore è una quiete acceso è un romanzo che può essere interpretato secondo più chiavi di lettura. La storia d’amore tra Tommaso/Tommi e Moira/Leyla. Oppure il modo in cui divinità capricciose decidono delle sorti umane. Oppure l’impenetrabile logica della trama della vita, in realtà un garbuglio di fili che s’intrecciano e annodano in maniera imprevedibile, con conseguenze inaspettate.
Alla fine resta in bocca l’amaro e sulle labbra un sorriso.
Francesco Randazzo. Il vero amore è una quieta accesa. Graphofeel Edizioni, 2021.