di Mauro Mirci
Nella misconosciuta cittadina di Ekateringrad, in Russia, un treno blindato staziona in attesa di ordini. Ospita una compagnia di fanti di marina, agli ordini del sottotenente di vascello Ettore Piola, ufficiale di carriera e uomo, tutto sommato, mediocre, al comando di un piccolo stato maggiore di guardiamarina e di un centinaio di soldati in attesa di qualcosa.
Cosa si attenda è facile immaginarlo: come nella Fortezza Bastiani s’attende d’attaccare il nemico, oppure che il nemico arrivi per affrontarlo, oppure, semplicemente degli ordini. Qualsiasi cosa che smuova il treno e il suo immobilizzato equipaggio dal binario morto della stazione di Ekateringrad, dove gli alleati tedeschi lo hanno relegato, visto che dai generali italiani disposizioni non ne arrivano e anche i russi, bontà loro, se ne stanno dall’altra parte del fronte.
Nello scenario stagnante disegnato da Alessio Martini (nom de plume, ma con un minimo di buona volontà e l’aiuto di Google, il navigatore medio scoprirà il nome anagrafico dell’autore di Salvare i naufraghi – a meno che non sia uno pseudonimo pure quello) fa irruzione la “naufraga” Svetlana, donna giovanissima – è appena diciottenne, o almeno così sostiene –, assai bella, che rivolge una richiesta d’aiuto a Piola. “Monsieur, aidez-moi, Je vous en prie”. È il francese la lingua comune tra i due. Inizia così il romanzo Salvare i naufraghi, con una richiesta d’aiuto che infrange le regole militari e la loro burocratica applicazione. Non è una caso che la giovane sconosciuta venga, istintivamente, assimilata dal comandante Piola a una naufraga. É un marinaio, così come tutti gli uomini alle sue dipendenze, dal sensibile Santulli all’equivoco Esposito, e un marinaio conosce bene la regola che obbliga i naviganti a soccorrere le vittime di naufragio. Poco importa che il naufragio sia causato dal disastro di un naviglio o dalla crudeltà – e dall’inerzia, dalla stolidità – degli eserciti e dei loro generali. Piola soccorre la ragazza. La nasconde nel treno blindato, celata alla vista dei suoi, ma anche dei tedeschi acquartierati a Ekaterinengrad. Efficienti e cordiali, i tedeschi, anche disponibili, ma pur sempre capaci – si vocifera, ma di sicurezze ce ne son poche, siamo a inizio del 1943, chissà se le storie di fucilazioni di massa di russi militari e civili sono poi vere o solo propaganda dei perfidi comunisti – di efferatezze temibili.
Salvare i naufraghi è un bel romanzo. Una storia dove i fatti storici (o solo storicamente plausibili) sono utilizzati con bravura per costruire lo scenario sul quale operano i personaggi rappresentati da Martini, abile nel descrivere l’attesa esasperante di qualcosa che non arriva, così come a disegnare il personaggio di Svetlana, della quale svelerà la vera identità solo nelle ultime pagine, ma per la gran parte del libro riesce a resistere in equilibrio tra verità e dissimulazione. Insomma, la necessità del personaggio di celare sé stessa a italiani e tedeschi si identifica con quella dell’autore di fornire al lettore, con la necessaria economia e adeguata tempistica, gli elementi della trama.
Trama che si svolge sfruttando la giusta dose di azione, di senso di straniamento di indagine sulla natura umana. Quanto ne può permettere l’ambiente claustrofobia di un treno blindato italiano nella steppa russa. Cosa ci fanno dei marinai su un treno, lontani dal mare? E, poi, la contrapposizione, nella stessa persona, di vigliaccheria e coraggio, di sentimenti pusillanimi e onore, di amore ed egoismo.
Salvare i naufraghi, di Alessio Martini. Ed. Nulla Die, 2021. € 15,00