di Mauro Mirci
C’è un dosso, una partenza in salita, nel romanzo di Giulio Mozzi, che si supera verso pagina 21 o 22, al momento in cui Mario, il protagonista, dialoga col giardiniere e scopre che il bosso del quale ricordava l’odore – era sicuro che quell’odore di bosso avesse aleggiato lì, nel giardino dove si trovava, e quindi che, assieme all’odore, ci fosse anche la pianta – non era mai esistito.
Poi inizia la storia. O meglio, quella che sarebbe una storia se già il titolo prima, e diverse opinioni e recensioni poi non avessero descritto questo libro come una sorta di costruzione frattale dove tutto è praticamente immobile, e i personaggi si muovono secondo orbite ellittiche apparentemente chiuse, ma in effetti centrifughe o centripete. Spiraliformi, cioè, e tali da modificare la collocazione dei corpi allontanandoli o avvicinandoli al centro di gravità. Insomma, a mio modestissimo avviso la storia c’è, o meglio, ci sarebbe se l’autore fosse un normalissimo autore di romanzi e non Giulio Mozzi, che ama dire e non dire, lasciare intuire, evocare, mai affermare e nemmeno negare. Testo di grande maestria, dove i pezzi sono legati insieme ed evocano trame che, in realtà, mai sono esplicite. Così come mai sono espliciti i ruoli di Mario, Bianca, Agnese, Santiago, Viola, per dire solo delle figure principali e sempre ricorrenti. Il Grande Artista Sconosciuto invece, mi sembra meno ambiguo e degli altri (ma anche lui ha i suoi misteri), appare più genuino, più umano, ecco. Una sorta di Sancho Panza di Mario, senza che Mario sia Don Chisciotte. E poi c’è Lucia, unico personaggio da romanzo, per così dire, classico. Appare, induce Mario in amore e poi muore a pagina 109, travolta da un’auto mentre è in campeggio, lontana da Mario, che ne conserverà per sempre un ricordo che va via via sbiadendosi, a mano a mano che l’episodio da romanzo-romanzo va diluendosi nel romanzo-alla-Mozzi. Per non dire del ricorrere della data del 17 giugno, giorno nel quale sembrano accadere tutti gli eventi più significativi. In un romanzo romanzo, quel 17 giugno dovrebbe condurre a un fine, un disvelamento, un colpo di scena, qualcosa di romanzesco, insomma.
Comunque, siccome ho osato affermare, prima, che la storia c’è, adesso dovrei giustificare quanto ho detto. E, in realtà, si tratterebbe banalmente di una storia di perversione e dominio, con i personaggi del romanzo che si alternano nel doppio ruolo di dominante e dominato. Esseri apparentemente banali, sciatti addirittura, ma perfetti, narrativamente parlando, che operano secondo schemi dati e sono incapaci di emanciparsi da essi. Sennonché, un’analisi attenta del testo smentirebbe immediatamente questa – ingenua – tesi, e si potrebbe, anche dimostrare – ma non lo faccio, causa rischio di spoiler: se ci tenete a capire perché leggetevi il romanzo – che l’autore – ossia l’infido Mozzi – certe cose non le ha scritte mai. Arriverebbe ad affermare, il mefistofelico Mozzi, che talune situazioni le ha immaginate il lettore o, addirittura, il tal personaggio. Forse. Ché i personaggi son fatti così e, capita che s’immaginino le cose all’insaputa dell’autore. E poiché le uniche cose buone a suffragare le intenzioni del testo sono quelle che ci stanno scritte dentro, mica quelle immaginate da chicchessia, personaggi compresi, facciamo che ci siamo immaginati tutto e ‘sto romanzo è tutto ancora da capire, ammesso che abbia un senso capirlo.
Sicché, per desiderio di rivalsa nei confronti di Giulio Mozzi, che scrive un romanzo che ho atteso tanto, ma poi mi consegna una cosa che non posso capire, paragonerò Le ripetizioni a una pubblicazione Urania del 1979. Una piccola antologia di racconti fanta-horror che conteneva storie di scrittori non notissimi come Ramsey Campbell, Brian Lumley, Chelsea Q. Yarbro, Basil Copper e Barry N. Malzberg. (e, della Yarbro, vorrei ricordare Morti e sepolti, Urania n. 913 del 7 marzo 1982, roba da farsela addosso durante la lettura). Il titolo dell’antologia, curata da Roger Elwood, era Mostra di mostri. Qualcuno potrebbe obiettare: ma non stavamo parlando del romanzo di Giulio Mozzi, che peraltro ha iniziato il 2021 consegnando alle stampe il suo esordio letterario nel genere dopo una carriera di scrittore di racconti e altre cose, buona parte delle quali fuori canone, che potremmo chiamare genericamente narrazioni? A quel qualcuno risponderei: sì, ma sto seguendo un mio filo logico, che non so dove mi porterà, ma sicuramente da qualche parte arriverò, e se non ci arriverò, o se arriverò in qualche posto che non sia quello giusto, sarà di certo per colpa del malizioso autore del romanzo del quale, probabilmente, non ho capito nulla.
E si diceva: Mostra di mostri. Perché mostruosi sono i personaggi, nel loro complesso, e il più mostruoso di tutti mi sembra proprio proprio il protagonista, Mario, nella sua assoluta passività priva di appigli, nella sua disumana assenza di reale empatia. Mario prova parvenze di sentimenti, assolve a doveri, si mostra remissivo. In realtà è distante da tutto e tutto respinge. L’unico a comprenderne la reale essenza, mostruoso più di lui, è Santiago (e anche Bianca, ma molto avanti, e quando ormai ha perso ogni potere su Mario). Santiago è l’unico personaggio del quale conosciamo solo l’identità mostruosa, in effetti, l’unico onestamente mostruoso tra figure che dissimulano la loro vera natura dietro maschere quotidiane socialmente accettabili. E sempre a voler paragonare questo romanzo a opere altrui, mi viene in mente Mostra delle atrocità, di James G. Ballard. Non tanto per i contenuti, quanto per un ricordo (impreciso, a essere onesti) della struttura narrativa di quel romanzo che, come questo, non è un romanzo, composto com’è da storie sostanzialmente a sé stanti, non collegate da una linea narrativa precisa ma legate dal concetto di perversione, dal ricevere – accettandoli – il dolore fisico e la dominazione psicologica e nell’infliggerli, quasi fosse un adempimento di atti necessari.
Era rimasta in sospeso la questione del 17 giugno. Perché il 17 giugno? Potremmo arrovellarci a lungo attorno al motivo di questa data, che coincide con il giorno in cui è nato Giulio Mozzi. Nessun mistero, basta controllare in rete, c’è anche su Wikipedia.
Oppure c’è qualcosa di più? Un simbolo di qualcosa, il richiamo a un significato più profondo, a un legame ben più stretto tra il testo e colui che l’ha scritto?
Adesso, basta.
Giulio Mozzi, Le ripetizioni. pp. 368, Marsilio ed. 2021. ISBN 978-88-297-0887-1. € 17,00
In apertura: foto di Mario Noto.