Concetto Prestifilippo ricorda Sebi Arena e il suo Muntraöngh
Muntraöngh era il nome della contrada. Celava rimandi fatati. Ore di marcia per raggiungerla. Il sentiero era tortuoso, il sole implacabile, le cavalcature stanche. L’ultimo baluardo era una vetta baluginante, Muntraöngh, Monte Navone. La cima della montagna era un pianoro accidentato. Dalla sua sommità si stagliava una distesa di grano vasta per l’ampiezza di uno sguardo. Luogo di epifanie, magarìe, magismi, sortilegi, incantantesimi. Scenario di conflitto per streghe e maghi d’altri tempi. Fondale di leggende in epoche remote della memoria. Muntraöngh è suono misterioso. Forse, lascito di soldataglia del nord Europa. Mercenari giunti in Sicilia in un vago Millennio con il loro bagaglio di saghe da accampamento. Muntraöngh è suono evocativo. Forse, eredità moresca, vibrazione mediorientale. Muntraöngh è la cantilena dialettale delle abuelitas isolane. Al calar del buio, rischiarate da chiarori incerti di lucerne, le abuelitas-nannò recitavano nenie cantilenanti:
“C’era ‘na vota ‘un re,
bafè, viscotta e minè,
c’avìa ‘nafigghja,
bafìgghja viscotta e minìgghja.
Ciancìa sta povirafìgghja,
bafigghja viscotta e minigghja.
Rissi allura lu re,
bafè, viscotta e minè.
Facièmu ‘nu bannu.
Afannu viscotta e minannu (…)”.
Erano storie infinite, vicende intriganti, avvenimenti fantastici. Le storie di Muntraöngh avevano un incanto spaventevole. La narrazione recitata in tono minore, quasi sottovoce, evocava forze terribili di maghi e streghe. «Shh. Silenzio», intimava nannò e tutti raggomitolati in un cantuccio. Nel buio, baluginava la Culorvia, un mostro orrendo, metà donna, metà serpente. «Shh. Silenzio». Rincarava la abuelita e i bambini si stringevano in un angolo.
Il racconto fantastico di Sebi Arena possiede una straordinaria forza evocativa, la magia dei racconti del focolare. Un libro che ha la forza del gesto eroico. È l’impresa del reduce che conduce a riva i relitti di un naufragio culturale. Le pagine di questo volume, le sue evocazioni, sono quel che resta della narrazione orale mediterranea, il cunto dei pupari, la saggezza arcaica della civiltà contadina. Pagine che sintetizzano questo intento, custodire e trarre in salvo antichità. A futura memoria dunque. Una gestualità che accomuna grandi personalità della letteratura siciliana, da Pitrè a Sciascia. Leonardo Sciascia sentì il bisogno di custodire in un minuscolo libretto le memorie sopite della sua infanzia. In “Occhio di capra”, il maestro di Regalpetra conferì nuova vita ad una serie di detti e storie popolari. Libro tradotto anche in Francia dall’editore Fayard con il titolo: “Le œil de chèvre”. «Forse è a questa storia minima che io debbo l’attenzione che ho sempre avuto per la grande», scriveva Sciascia a proposito di questo libro. Al lavoro di Sebi Arena spetta lo stesso merito.
Sebi Arena è intellettuale eccentrico e multiforme. Archeologo, antichista, botanico, poeta, fotografo, ambientalista, attivista politico, antropologo, viaggiatore, soprattutto medico. Certezze scientifiche e rapimenti metafisici. Questa è la connotazione fondante dell’autore del libro, medico di certezze scientifiche e medeor di manzie astratte. Scienza e scientismi. Come è accaduto, per secoli, ai medeor tra i fumi della loro taberna medica. Figura centrale della storia raccontata è il mago Turoldo, potente e misterioso alchimista, in lotta perenne contro il Male. Un personaggio che rimanda a misteriose cerimonie di iniziazione nei meandri della Montagna incantata di Monte Navone.
Quello proposto non è mero racconto consolatorio. Queste pagine, sono asilo di approdo per un dialetto arcaico, il gallo-italico, vernacolo con dignità di lingua estrema. Ad Arena il merito di aver tratto in salvo questa truvatura medievale, storia di un misterioso sortilegio siciliano. Narra di principi e re, maghi e streghe, principesse e incantesimi, tesori e duelli, apparizioni e maledizioni. Muntraöngh è Camelot, Narnia, Ankh-Morpork, Terra di Mezzo.
«Shh, silenzio. Inizia la storia di Muntraöngh». Sentenziava nannò. Tutti stretti e rannicchiati, sgranando occhi di stupore:
Dragunèra unna vai?
Vaiu arbuli a spillati
e lavuri a sradicari.
Vattinni ni na valli scura
unna nan canta gaddu
unna nan spunta luna,
pilu nomu di Gesù
chista cosa non sia chiù,
pilu nomu di Maria
dicemu ‘n’Ava Maria .
Concetto Prestifilippo