di Concetto Prestifilippo
Gibellina, Baglio di Stefano. Appuntamento con il compositore Salvatore Sciarrino. Una lunga conversazione nel caldo dell’estate siciliana. Quando gli chiedo una definizione della Sicilia esita. Un tempo immobile. Suoni che rimbalzano nella corte. Sciarrino, sembra inseguire quei suoni: «La Sicilia è un canto nella solitudine», risponde assorto nei suoi ricordi.
La Sicilia di ogni isolano è forse questa. Un personale canto nella solitudine. Un rimando di storie e personaggi. Come quelli consegnati alla letteratura da una gloriosa schiera di scrittori. La Sicilia raccontata, non può risolversi in una mera elencazione di nomi e titoli. Sono esercizi di stile buoni per dotte accademie. In barba ad ogni classificazione, senza ordine, solo per citarne alcuni: Verga, Capuana, De Roberto, Pirandello, Quasimodo, Vittorini, Brancati, Tomasi di Lampedusa, Borgese, Piccolo, D’Arrigo, Lanza, Savarese, Maraini, Hornby, Bonaviri, Cammilleri, Bufalino, Sciascia, Consolo. Narratori che hanno disegnato un carosello di personaggi balzachiani, il paradigma umano della Grande Isola. Non sono possibili raffronti con altre realtà regionali. Le storie narrate delineano i contorni di una geografia letteraria dell’Isola delle meraviglie. Come in un abbecedario d’antan, si dispiegano le insolite contee letterarie. La provincia di Agrigento con il teatro umano di Pirandello, la passione civile di Sciascia, fino al buon Camilleri e la sua sterminata avventura narrativa. La Palermo impietosa e languida del principe Tomasi di Lampedusa. Messina con la lingua materna e avvolgente di D’Arrigo, la poesia lunare di Piccolo e l’immensa architettura delle parole di Vincenzo Consolo. Catania è quella del gigante Verga e del sicilianissimo Brancati. Binomio inscindibile quello che lega Siracusa al raffinato Vittorini. Ragusa è l’eleganza, non solo letteraria, di Bufalino. La poesia rigorosa di Nino Di Vita ammanta Trapani.
La letteratura siciliana è un racconto per immagini. Le stesse storie, la stessa intensità, gli stessi volti, gli stessi luoghi, incorniciati nel bianco e nero delle fotografie di Giuseppe Leone. Il racconto di Leone è letterario, financo nella sua analogica struttura di carta, di segni scuri che scavano nel bianco, come nelle pagine dei libri. Immagini evocative. Lo studio del fotografo ragusano è incastonato in un centro storico ormai svuotato di umanità. Una sorta di presidio, un deposito di memoria, dove trovano rifugio rimandi di un naufragio. Nei cassetti dell’archivio fotografico sono stipati migliaia di fotogrammi. Ecco il volto affilato di Gesualdo Bufalino. Leonardo Sciascia che incede regale per le strade di Madrid. L’intensità del sorriso triste di Vincenzo Consolo. Lo sguardo rassicurante di Andrea Camilleri. L’eleganza da aristocratico russo di Enzo Sellerio. La classe ineguagliabile di Elvira Sellerio. E poi i luoghi, le piazze, le chiese, i palazzi, gli scorci di paesaggio, le feste di piazza, le tradizioni popolari. Una sequenza infinita, frutto di decenni di bracconaggio di emozioni. Leone è l’autore della fotografia simbolo della letteratura siciliana. Ritrae Consolo, Sciascia e Bufalino in
contrada Noce a Racalmuto. Un’immagine che ha assunto la connotazione di icona, come la foto del Che di Alberto Korda o il ritratto di Camus di Henri Cartier-Bresson.
Una personale e incompleta letteratura siciliana è il mio rimando a una libreria di ciliegio. La biblioteca dello zio Pietro, giovane intellettuale nato a Serradifalco in una modesta famiglia di zolfatai. Il riscatto sociale era incastonato nei volumi Bompiani della collana “I delfini”. Al ritorno dal liceo di Caltanissetta portava sempre un pacchetto. Carta spessa da imballaggio. L’apertura, svelava ancora un afrore di colla e tipografia. Libri bizzarri: Mario Farinella “I siciliani a Milano” con l’incisione di Bruno Caruso in copertina. Antonio Pizzuto “Si riparano bambole”, Lerici editore, la copertina rossa e la scritta nera. La rivista “Il Menabò”, con il rimando in copertina a “I giorni della fera” di D’Arrigo. Un minuscolo libretto azzurro Scheiwiller, “Plumelia” di Lucio Piccolo. “Il sorriso dell’ignoto marinaio”, di Vincenzo Consolo e l’incisione di Guttuso. Le parrocchie di Regalpetra di Sciascia, editore Laterza e i pretini in copertina.
Come in un fotogramma di un film abusato, rovisto in penombra. La vecchia abitazione di via Cappellini è stata venduta e sarà demolita. I volumi celano biglietti, appunti, fotografie. Una dedica del maestro Petyx, un altro maestro di scuola elementare, intellettuale attento. La geografia letteraria siciliana è connotata da luoghi eccentrici e da maestri di scuola. Comiso e Gesualdo Bufalino, Racalmuto e Leonardo Sciascia, Sant’Agata di Militello e Vincenzo Consolo, Valguarnera e Giuseppe Lanza, Polizzi Generosa e Antonio Borgese, Capo D’Orlando e Lucio Piccolo. Eruditi eccentrici, non provinciali, veri intellettuali europei. Autori che hanno alimentato l’immutata fascinazione di un’isola gravida di miti. Lo stesso rapimento estatico che non aveva risparmiato il raffinato Sthendal. Pingue e indolente, disteso sul suo canapè nello studio al 10 di rue du Chevalier de Saint-George, lo scrittore francese agognava un viaggio in Sicilia. Voleva andare a vedere il luogo dove il diavolo aveva preso moglie, scriveva infervorato. Il viaggio e il luogo rimasero però confinati nell’immaginazione.
La Sicilia è il luogo più raccontato. Le sue storie e i suoi personaggi esercitano un fascino singolare. Come testimonia l’infinita schiera di film tratti dai libri degli scrittori siciliani. La letteratura siciliana è anche la sua storia editoriale. Gloriosi marchi editoriali confinati ormai nella memoria.
In un viaggio palermitano ho accompagnato Giuseppe Leone a palazzo Lampedusa. Via Butera, quartiere Kalsa. L’imponente portone e le teste di leone in bronzo. La corte in penombra. L’arioso scalone e le tele con i ritratti degli avi. A riceverci la duchessa di Palma, Nicoletta Polo Lanza e la sua eleganza impareggiabile. Dal fondo del salone una voce impostata e una cadenza regolare, ipnotica. Gioacchino Lanza Tomasi, figlio dell’autore de “Il gattopardo”, di spalle, sprofondato nella poltrona. Alla sua destra, un vecchio registratore a bobine che riconsegna, nel suo moto vorticoso, la voce originale del principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Legge un suo racconto:
“…Il volto liscio di una sedicenne emergeva dal mare… Quell’adolescente sorrideva, una leggera piega scostava le labbra pallide e lasciava intravedere i dentici aguzzi e bianchi, come quelli dei cani. Non era però uno di quei sorrisi come se ne vedono fra voialtri… esso esprimeva soltanto se stesso, cioè una quasi bestiale gioia di vivere, una quasi divina letizia… Dai disordinati capelli color sole, l’acqua del mare colava sugli occhi verdi apertissimi, sui lineamenti di infantile purezza… Sotto l’inguine, sotto i glutei il suo corpo era quello di un pesce, rivestito di minutissime squame madreperlacee e azzurre, e terminava in una coda biforcuta che lenta batteva il fondo della barca. Era una sirena. Riversa poggiava la testa nelle mani incrociate, mostrava con tranquilla impudicizia i delicati peluzzi sotto le ascelle, i seni divaricati, il ventre perfetto; da lei saliva quel che ho malchiamato un profumo, un odore magico di mare, di voluttà giovanissima…”.
Il racconto è “Lighea”, narra dell’amore di un uomo e una sirena. Le parole del principe riecheggiavano nell’antico palazzo, la tenda del balcone svelava, a tratti, il giardino e il golfo di Palermo. Le navi alla fonda. Dunque la Sicilia è questa: un canto nella solitudine.
Si è fatta quasi sera in via Cappellini a Serradifalco. Domani, demoliranno questa modesta casa di minatori. La tenda con il ricamo intrecciato al tombolo. Le rondini che intrecciano misteriose tessiture. Il balcone è quello dove la nonna Michela iniziava i suoi cunti pomeridiani:
“Ora ti cuntu un cuntu.
Si cunta e si ricunta”.
[Per gentile concessione dell’autore. Testo di accompagnamento alla mostra dal titolo “Sicilia tra luce e parola”, esposizione delle foto di Giuseppe Leone che si terrà a Taormina, tra l’8 e il 30 settembre prossimi a Taormina, nell’ex-chiesa del Carmine, nell’ambito del Taobuk]