di Enzo Barnabà
L’ultimo libro, appena uscito, di Vito Catalano, “Il pugnale di Toledo”, Avagliano Editore, Roma, l’ho letto tutto di un fiato e di questo voglio ringraziare l’autore perché, da qualche tempo, la cosa mi succede raramente. Come nel precedente romanzo, “L’orma del lupo” pubblicato dallo stesso editore nel 2010, la vicenda si dipana nella Sicilia del Seicento; qui, però, non è il noir a connotare la narrazione, ma il genere cappa e spada. L’autore ci dà sotto alla grande, divertendosi e divertendo: castelli, osterie, spade, pugnali, signorotti prepotenti, sgherri, prostitute, banditi, agguati, fughe, duelli, assassinii, ecc. Come, fantasticando, si divertiva da ragazzo quando leggeva “Capitan Fracassa” e gli altri classici del romanzo d’avventura che hanno fatto da terreno di coltura alla sua vocazione letteraria.
Una vocazione letteraria cui non è estraneo l’aver trascorso i primi dieci anni di vita in un mondo marcato da un nonno fuori del comune: Leonardo Sciascia. E a Sciascia si devono probabilmente due elementi che stanno a monte del “Pugnale di Toledo”: l’interesse per il romanzo storico di ambientazione siciliana e il rispettoso occhiolino fatto ai “Promessi Sposi”. Anche qui si parte dai bravi e da un donrodrigo che vuole soddisfare le proprie prave voglie su una giovane e fresca popolana, anche qui si affronta il conflitto tra la giustizia e l’arbitrio, anche qui l’autorità dello Stato, rappresentata da un nobile spagnolo, trova non pochi ostacoli. D’altronde, come non fare i conti con Manzoni quando si scrive un romanzo storico ambientato nel Seicento? Come per la Restaurazione descritta da Balzac, forse l’epoca barocca la si capisce meglio leggendo Manzoni che molti storici.
La analogie, ovviamente, si fermano qua. Se l’intervento provvidenziale permette a Manzoni di costruire la happy end, il romanzo di Catalano si chiude nel cuore di Palermo in modo drammatico per il picaro che ha goduto della simpatia del lettore lungo il centinaio di pagine di una narrazione stringata e dal ritmo accelerato. Prevalgono le forze del male oscuro che colpisce una Sicilia che appare irredimibile. La violenza (pre)mafiosa, sconfiggendo il protagonista del romanzo, inferisce un colpo mortale alla prospettiva del vivere civile. Si tratta, insomma, di un’ennesima sciasciana occasione mancata. Una fine che, dopo il piacere provato leggendo le avventurose vicende del picaro, non manca di lasciare l’amaro in bocca.