Ovvero: dichiarare l’emergenza o non dichiarare l’emergenza? Questo è il dilemma.
di Mauro Mirci
Allerta per rischio idrogeologico ma c’è il sole. Com’è possibile?
E’ possibile perché le previsioni meteorologiche, ossia lo strumento principale per prevedere il rischio idraulico e idrogeologico, non sono scienza perfetta e hanno un margine di errore, se errore vogliamo chiamarlo. Margine che, nel tempo, s’è ridotto sempre più, consentendo previsioni più azzeccate che nel passato, ma pur sempre presente.
Non voglio entrare nel merito delle tecniche con le quali le previsioni sono sviluppate, non ho le competenze necessarie. Per quel che so si basano sullo studio di fenomeni (quelli atmosferici) ai quali sono poi applicate tecniche di valutazione di tipo probabilistico. Ciò comporta, quindi, un certo grado di incertezza e di approssimazione che possono avere merito sia con il verificarsi o meno dei fenomeni, sia con la previsione degli orari in cui potranno verificarsi. In parole povere: si prevede che piova e invece non piove, oppure piove meno del previsto. Oppure ancora, la pioggia prevista il mattino arriva il pomeriggio.
C’è poi l’aspetto della procedura. Il sistema di allertamento di protezione civile ha, sostanzialmente, tre livelli: nazionale, regionale e comunale. A livello nazionale e regionale vengono ricevuti, valutati e rilanciati agli enti locali gli allarmi. A livello di Ente locale si dà attuazione alle procedure di allerta previste dai piani comunali di protezione civile. Ossia, sempre per usare parole comprensibili a tutti: se l’allerta è verde, i Sindaci non fanno nulla di particolare e tirano un sospiro di sollievo; se è rossa, attivano i Centri Operativi Comunali, allertano gli uffici tecnici, i vigili urbani, la protezione civile comunale, mettono insieme e studiano tutti i dati di cui sono in possesso (che non è detto siano poi tantissimi), valutano le condizioni locali (geologiche e viarie, in particolare), tengono presenti le particolari criticità del territorio (una zona particolarmente soggetta ad colate di fango, per esempio, o aree già interessate da dissesti idrogeologici) e poi decidono il da farsi.
Una delle decisioni che, in questi ultimi tempi, sta generando forse confusione e qualche polemica, è quella della chiusura delle scuole.
Ecco, su questa decisione è forse il caso di chiarire una cosa molto importante. Quando, per un’allerta idrogeologica, si decide di chiudere le scuole non lo si fa perché la scuola è a rischio. Se un edificio scolastico dovesse manifestare problemi statici o rischi per l’incolumità degli studenti in occasione di piogge molto forti, vorrebbe dire che le sue condizioni di sicurezza erano già carenti anche col bel tempo e, quindi, andrebbe dichiarato inagibile a prescindere dall’allerta idrogeologica o idraulica o qualunque essa sia.
No, i motivi sono diversi e non hanno a che vedere con la scuola in sé. Sono invece legati alla definizione di rischio. Il Rischio è, in linea di massima, calcolabile come il prodotto dell’intensità del fattore che può produrre un effetto negativo, per l’entità del danno che l’effetto negativo può produrre. Sempre in parole povere: un grande masso che minaccia di cadere da una montagna sarà considerato un rischio alto se cade su un gruppo di case, ma è considerato un rischio bassissimo se cade in un bosco deserto.
Nella chiusura delle scuole per rischio idrogeologico, si tende a tutelare i bambini e i genitori, che rappresentano la maggior parte della popolazione scolastica, evitando che, per entrare e uscire nelle scuole, ci sia una quantità di soggetti vulnerabili che possono essere coinvolti in allagamento stradali, colate di fango, ingorghi e, come purtroppo accade spesso in alcune città – Catania per esempio – grossi flussi d’acqua che occupano le strade e sono capaci di travolgere mezzi e persone.
Nel caso di Piazza Armerina, oltre alla popolazione scolastica residente, esiste anche una popolazione scolastica pendolare che deve percorrere strade che più volte sono state occupate da fango e detriti durante le piogge più violente, oppure che, in punti morfologicamente depressi, hanno subito allagamenti. Zone del genere si trovano in contrada Grottacalda, per esempio, dove più volte si è stati costretti a tirar fuori dall’acqua e dal fango le auto bloccate. E più di una volta frane e colate di fango hanno interessato la statale che proviene da Aidone, causando interruzione del collegamento con Piazza Armerina. Per non dire degli interventi che, ogni volta, si rendono necessari sulle provinciali per Mirabella Imbaccari e Barrafranca, abitualmente invase dal fango, e sulle innumerevoli strade comunali che penetrano nelle campagne e che le piogge torrenziali rendono abitualmente di difficile percorribilità.
Allora, chiudere le scuole serve a evitare che i pendolari della scuola siano messi a rischio. Nella formula di calcolo del rischio, si riduce la quantità delle persone esposte e, quindi, si limita il rischio.
Si potrà obiettare che rimane tutta una quantità di soggetti esposti: impiegati, lavoratori, commercianti, oppure gente che, semplicemente, decide di andare in giro anche se le previsioni meteorologiche son pessime.
Ora, è chiaro che, anche in caso di emergenza non è possibile impedire ogni attività umana, perché questo produrrebbe forse danni molto maggiori dell’evento meteorologico stesso. Ma è vero anche che alcune attività umane si autoregolano: il fornitore di un supermercato non percorrere una strada a rischio se il gestore della strada l’ha chiusa a scopo precauzionale. E gli impiegati di una banca potrebbero non riuscire a raggiungere il posto di lavoro per lo stesso motivo.
D’altro canto si potrebbe immaginare cosa accadrebbe se la maggior parte del personale di un pronto soccorso non potesse prendere servizio o se gli agenti della polizia municipale non dovessero recarsi a lavorare perché l’allerta è rossa.
Questo per dire che anche nelle situazioni di emergenza più preoccupanti, occorre mantenere un equilibrio tra livelli di sicurezza da garantire e servizi da erogare.
Per tornare alle procedure di allerta, voglio ricordare che, sempre, chi si occupa di emergenze e sicurezza, e a maggior ragione se si occupa di “pubblica incolumità”, ossia dell’incolumità di una quantità indeterminata, ma si suppone grande, di persone di ogni estrazione economica e sociale, deve sempre assumere decisioni ispirate da principi di massima prudenza.
Il 30 ottobre, la protezione civile nazionale ha diramato un bollettino che indicava, per le zone centro orientali e tirreniche della Sicilia, una previsione di precipitazioni elevate, indicate in blu. Per la zona dei Peloritani e di Messina, già funestate da calamità legate alle piogge torrenziali, il livello previsto di precipitazioni è addirittura massimo (viola = molto elevato).
La Protezione Civile Regionale, nel suddividere la regione in nove zone identificate coi bacini idrografici dei principali corsi d’acqua, ha attribuito il territorio comunale di Piazza Armerina a due macrobacini: la parte occidentale al bacino E (fiume Salso e fiume Gela, in sostanza), la parte orientale al bacino H (fiume Simeto).
Nell’ultimo bollettino, il n. 15303 di ieri, la zona E era in allerta gialla (attenzione), mentre il bacino H era in allerta rossa (preallarme).
A questo punto restava da decidere cosa fare.
Fare valutazioni sulla base della probabilità che non succedesse niente di preoccupante e, di conseguenza, non adottare alcun provvedimento? Cioè, sempre per parlar semplice: non far nulla e stare a vedere cosa succede?
Oppure adottare il principio della massima prudenza e tener conto che i fenomeni temporaleschi potrebbero non aver rispetto delle delimitazioni di bacino o degli altri confini decisi dall’uomo? Anche perché chi arriva dai paesi e dalle cittadine vicine potrebbero incappare in ostacoli (fango, allagamenti) che nel centro urbano non si percepiscono nemmeno.
La scelta è stata quella della maggiore prudenza e di dichiarare la massima allerta e la relativa ordinanza è la 101 del 30 ottobre 2015. Poi, come qualche volta capita, le previsioni non mantengono le promesse e c’è il sole.
Giusto per dirla tutta, pare ci sia il sole anche a Catania, che il bollettino regionale piazzava sicuramente nella “zona rossa”.
Ma, ancora per dirla tutta, proprio mentre scrivo, qualche nuvola grigia compare all’orizzonte e il sole, almeno dalla finestra di casa mia non si vede più.
E questo è quanto.