Rubincollo dal blog di Ivo Flavio Abela. ma.mi.
Il 18 gennaio su Repubblica appare un articolo di Salvo Intravaia. Vi si riferisce di un’iniziativa del MIUR: la nascita di Scuola in chiaro, un portale particolarmente utile ai genitori che dovranno iscrivere entro febbraio i loro figli per l’Anno Scolastico 2012/13. I genitori potranno consultarvi tutti i dati (compresi quelli finanziari) relativi a tutte le scuole della loro area geografica. L’articolo riferisce dunque i risultati emergenti dai dati relativi ai Licei di dieci grandi città italiane: un campione indubbiamente ristretto e legato a realtà urbane fortemente connotate per ovvie ragioni – Torino, Milano, Genova, Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Palermo e Cagliari – quasi la scuola pubblica italiana potesse essere rappresentata esclusivamente dalla somma fra le realtà scolastiche superiori di dieci capoluoghi di provincia. Per non dire del fatto che le scuole pubbliche milanesi devono fare i conti con l’antagonismo del modello lombardo di scuola privata, laddove i genitori – tutti lautamente abbienti – investono una retta annua che va dagli 8.000,00 euro in su per ciascun figlio. L’articolo insiste inoltre sul fatto che le scuole sono costrette a chiedere contributi alle famiglie degli alunni. Solo in qualche riga viene detto che i contributi sono richiesti a “privati” (e i privati non sarebbero soltanto i genitori degli alunni).
Il 19 gennaio su La bussola quotidiana, sorta di quotidiano on line nel cui comitato editoriale figurano i nomi (neanche a dirlo) di Vittorio Messori e Andrea Tornielli (e si è detto tutto), e che reca come curiosissimo sottotitolo Per orientarsi fra le notizie del giorno (come se tutti avessimo bisogno di una sorta di paraocchiata guida for dummies per apprendere ciò che accade quotidianamente), appare un articolo firmato da Erminio Ribold. Vi viene ripreso il pezzo “repubblicano” di Intravaia in modo alquanto capzioso e forse non proprio da manuale d’onestà intellettuale: un piccolo esempio della strumentalizzazione a scopo “familistico” (che cosa c’entra Banfield? C’entra… C’entra…) di dati per loro natura oggettivi.
Qui ci si limita a qualche considerazione – per così dire – estemporanea, peraltro già verbalizzata in una mail privata da me indirizzata a una persona che dimostra ampiamente di sputare nel piatto in cui mangia, dal momento che insegna (peraltro Religione Cattolica) in una scuola pubblica e che condivide le riflessioni di Riboldi.
La scuola pubblica (cosa peraltro rilevata ampiamente da Intravaia, ma dimenticata da Riboldi) non riceve finanziamenti adeguati per pagarsi neanche la carta igienica. Da tre anni a questa parte (ossia da quando l’amministrazione Berlusconi-Tremonti-Brunetta-Gelmini ha inopinatamente falciato i finanziamenti alla scuola pubblica senza ovviamente ledere di un minimo quelli destinati alle scuole private soprattutto cattoliche) molti genitori hanno addirittura deciso di autotassarsi perché sanno che le scuole pubbliche in cui mandano i figli non possono permettersi praticamente più alcunché.
Riboldi non considera – e mi ripeto – che l’articolo di Intravaia espone i risultati di quanto avviene solo in dieci città italiane. Troppo poco per una stima generale. Sono un insegnante e posso testimoniare che in tutte le scuole in cui ho insegnato si è scelto collegialmente di non avviare quelle attività extracurriculari il cui budget risultasse eccessivo o la cui realizzazione avrebbe implicato la richiesta di contributi alle famiglie. Queste ultime sono state chiamate in causa esclusivamente per i viaggi d’istruzione, peraltro dopo avere consultato più agenzie in modo da scegliere il preventivo più vantaggioso. E sottolineo che le scuole hanno sempre cercato di contribuire. In quanto ad altre attività extracurriculari, Riboldi (ma forse anche Intravaia, dal momento che non li nomina mai espressamente) dimostra di sconoscere anche un’altra realtà: quella degli sponsor. Mi è capitato più di una volta di partecipare alla realizzazione di attività extracurriculari finanziate da sponsor che mettevano a disposizione strutture, danaro, servizi in cambio della collocazione del loro logo sul materiale informativo relativo alla specifica attività, destinato agli studenti e alle famiglie.
In una buona scuola paritaria si pagherebbe solo l’equivalente del 30 % di ciò che si paga in una scuola pubblica, dice Riboldi. Ma forse egli dimentica che alcune scuole paritarie sono veri e propri diplomifici (qualità pari a zero insomma). Ignora anche (continuo a ripetermi) che in alcune scuole private lombarde si arriva a pagare una retta di 10.000,00 euro per figlio, cosa che i genitori fanno volentieri in quanto possono agevolmente permetterselo (e basta vedere il lusso imperante in tali scuole). Ricorderei inoltre a Riboldi che non sta scritto in nessun testo più o meno arcano o divino che i genitori possano scegliere nelle scuole private e paritarie gli insegnanti che più a loro aggradano. Inutile ricordare che i criteri di scelta dei docenti da parte del Dirigente di una scuola privata sono affatto soggettivi e che sovente un insegnante viene collocato in una scuola privata esclusivamente grazie a una bene assestata pedata nel suo deretano.
Infine (“infine” si fa per dire, dal momento ogni singolo capoverso dell’articolo di Riboldi potrebbe essere facilmente smontato) Ribaldi … pardon … Riboldi dovrebbe ricordare che l’idea che la scuola debba essere il luogo esclusivo in cui si forma precipuamente la persona (una delle follie partorite da Berlinguer) è stata subìta dalla scuola pubblica suo malgrado. E le conseguenze dell’applicazione di tale idea non possono essere pagate dalla scuola pubblica stessa che di necessità non può che osservare le regole che il Governo le impone. Un Governo sensato si limiterebbe ad agire sulle norme modificandole, non distruggendo chi quelle norme non può fare altro che osservare. Perché la Gelmini non ha agito in tal senso? Perché non corre ai ripari Profumo? Del resto è triste leggere che – nonostante la partecipazione delle famiglie alle spese – la scuola pubblica fa acqua: Riboldi dovrebbe ben sapere che non solo nelle scuole private (soprattutto se cattoliche) gli studenti vengono agevolmente promossi perché pagano, ma anche che non si può sempre attribuire la responsabilità degli insuccessi scolastici e degli abbandoni alla scuola pubblica e ai suoi docenti. Talora si farebbe bene a guardare la qualità dell’impegno degli alunni, fin troppo perduti ormai in una miriade di attività extrascolastiche (talvolta imposte dagli stessi genitori che riversano così le loro frustrazioni sui figli) con le quali la scuola non ha davvero alcunché da spartire, in quanto promosse da cosiddette agenzie formative ad essa estranee e “alternative”.
Insomma, cari genitori, riflettete. Se proprio cattolici più o meno integralisti siete, non abbiate timore: anche nella scuola pubblica si “studia” (sic!) Religione Cattolica. E anche bene, se è vero che gli insegnanti di Religione Cattolica non solo non hanno subìto alcun contraccolpo dagli scempi gelminiani, ma si sono visti lo stipendio pure aumentato, mentre gli insegnanti di Latino, Storia, Greco, Matematica, Fisica, Inglese, Arte, Musica, ecc. ecc. (tutte discipline inutili, fuorvianti, dannose perché potenzialmente in grado di modificare la struttura cognitiva e quella metacognitiva dei vostri figli a tal punto da poterli portare a ragionare con la loro testa – sacrilegio! – e magari a mettere in dubbio la liceità delle ingerenze del Vaticano nella loro vita e nei loro sentire e pensare) non solo vengono pagati poco e male, ma pure non lavorano più.