di Mauro Mirci
La recente uccisione a Tor Pignattara, di Zhou Zheng e della sua figlia neonata ha riportato l’attenzione sulle attività dei cinesi in Italia. Accanto alla commozione per un fatto di sangue tanto barbaro, si rinnovano dubbi e pregiudizi. Scrive Il Messaggero: “Che Zhou Zheng si fosse arricchito recentemente non era sfuggito a nessuno nel quartiere. Come era stato notato il suo matrimonio extralusso, con macchine di grossa cilindrata parcheggiate davanti al ristorante. Ed è un fatto, su cui gli inquirenti stanno ragionando, che l’attività di money tranfer sia il nodo principale su cui punta la criminalità organizzata cinese.”
La lingua batte dove il dente duole: immigrazione cinese e mafia, Triadi e malavita locale. Scorrono fiumi di denaro e si concludono affari poco chiari sull’asse Italia-Cina. Le indagini non sono sempre semplici: c’è una solida barriera etnica a ostacolarle. Non è solo la lingua. Anche se, per assurdo, parlassero lingue identiche, occidentali e cinesi, distanti quindicimila chilometri e migliaia di anni di storia ed evoluzione culturale, non si comprenderebbero lo stesso. L’incomprensione accentua le differenze e contribuisce al fiorire delle leggende, che traggono alimento dalla realtà e dal pregiudizio in misura pressoché identica.
Dragoni e lupare sfata alcune di queste leggende e dà un contributo positivo alla conoscenza del fenomeno immigrativo cinese in Italia. L’autore è I.M.D., acronimo dietro il quale si cela un poliziotto-scrittore già autore di altri due volumi: Catturandi (2009) e 100% sbirro (2010).
Dragoni e lupare è un titolo d’impatto, che forse sposta l’attenzione del lettore verso gli aspetti più suggestivi e noir della presenza cinese nel Belpaese, mentre se un merito ha questo libro è quello di rappresentare, per il tema, una sorta di sinossi, una visione a volo d’uccello del fenomeno. Il testo di I.M.D. esordisce con una manifestazione d’intenti che rappresenta anche un’ipotesi di lavoro: “Tra mistificazioni, leggende e pregiudizi, cosa c’è di vero e di falso su una comunità, quella cinese, così vasta e silenziosa, giunta alla terza generazione in un’Italia ormai multietnica”. La risposta al quesito viene sviluppata nelle poco meno di 240 pagine del testo, che corredato di sostanziose bibliografia e webliografia, compendia opere di diversi autori e riporta, con stile asciutto e diretto, le esperienze di investigatori da anni impegnati in indagini sulle atività delle Triadi e sui loro rapporti con le mafie italiane. Alla fine, compresa l’infondatezza di alcuni luoghi comuni e di alcune diffuse convinzioni (quale, per esempio, quella che le organizzazioni malavitose cinesi facciano capo a un’unica, raffinata mente organizzativa) , il lettore viene messo di fronte a una interpretazione del fenomeno immigrativo, e delle sue distorsioni, più strettamente correlata a una visione globalistica e strategia dei rapporti tra le due nazioni (e, più generalmente, dei rapporti tra Cna e occidente industrializzato).
“Il dibattito sull’esistenza o meno di una minaccia cinese è stato il tema sommerso – ma non troppo – di questo libro che, se pur incentrato sul fenomeno della criminalità cinese in Italia, non ha potuto non tenere conto dell’importanza nell’assetto economico e sociale del mondo, della Cina e delle sue contraddizioni. Tra i fattori di spinta dell’emigrazione cinese (e anche tra quelli di instabilità politica globale) si è citato il grande divario tra una popolazione maggioritaria molto povera e una minoritaria sempre più ricca, costituita in prevalenza da una borghesia elitaria vicina ai tecnocrati del partito. Nonostante la povertà, la censura, la violazione sistematica dei diritti dei cittadini, lo stato di polizia, l’assimilazione forzata di culture come quella tibetana, ecc., in economia vigono regole moto pratiche, così – oggi come ieri – la Cina offre ‘qualcosa’ che un’impresa intelligente, oculata, sana, non può certo ignorare: un’economia che cresce a ritmi troppo competitivi per il resto del mondo. In parole povere, significa che compra e consuma per un volume superiore decine di volte rispetto all’Italia […] Insomma, una manna per le aziende che sono alla ricerca di nuove opportunità. […] si organizzavano convegni in cui si denunciavano le dure condizioni di lavoro degli operai cinesi e lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali senza riguardo per l’ambiente, si riceveva il Dalai Lama […] coloro che ieri sostenevano e facevano tutto questo, oggi chiedono aiuto a quel ‘nemico’, la Cina […] e si spera che il CIC (Cina Investmente Corporation) […] decida di comprare un pacchetto di titoli di stato italiani”.