Mirabella Imbaccari è una cittadina di poche migliaia di abitanti, nel centro della Sicilia. Da lì sono partiti i bisnonni paterni di Salvatore Scibona, scrittore statunitense incluso dal New Yorker nella lista dei migliori scrittori under 40. “La fine” è il titolo del romanzo che è valso a Scibona l’attenzione e i favori della critica americana.
Antonio Pagliaro lo intervista per la rivista palermitana 21 arte cultura società.
il libro è dedicato ai miei nonni; sono diventati “americani”, come quasi ogni bambino americano di immigrati durante la Seconda Guerra mondiale, e così facendo si sono lasciati alle spalle gran parte della loro cultura; è vero che la mia generazione era americana, a parte i nostri nome e la cucina; è vero che ho trovato nei miei nonni e nella loro giovinezza una cultura che altrimenti sarebbe stata cancellata; che la narrativa è stato l’unico modo per vedere dietro la tenda che mi separava dal passato. Ma tutto ciò è solo privato. Voglio scrivere cose che alla fine sono libere dalle mie motivazioni e dalla mia vita. Il libro non è per me o per la mia famiglia. È per il lettore.
L’Ego è noioso, e le motivazioni personali che ci spingono a scrivere inevitabilmente puzzano del nostro egoismo. La magia avviene quando cominciamo a sentire la spinta dal di fuori, la spinta della letteratura che promette la libertà dal piccolo sé e ci invita in un mondo che è più ampio delle nostre vite individuali, delle nostre famiglie, clan e nazionalità. “La fine” è ambientato tra italoamericani, ed è un fatto che io venga da quel background. Ma spero che il libro utilizzi solo questo fatto, che lo digerisca e ne faccia una storia universale.