L’autore ennese, ingiustamente poco noto, fu molto apprezzato da Leonardo Sciascia e Vincenzo Consolo. Possibile che l’industria culturale continui a ignorarlo?
<Salvatore Scalia*
L’ombra s’addice ad uno scrittore discreto ed appartato come Nino Savarese. I suoi libri costituiscono così scoperta piacevole per pochi intimi, per avventurosi esploratori delle meraviglie nascoste della letteratura siciliana. Non che manchi, o sia mai mancata, l’attenzione dei critici e degli studiosi, anzi copiosa è la messe delle analisi dell’opera dello scrittore nato a Enna nel 1882 e morto a Roma nel 1945. Ma il non essere mai divenuto autore noto al grande pubblico nasce dal suo essere stesso, dalle sue intime propensioni, dall’attenersi alla discrezione, da una propensione al vivere appartato, dal dispregio per l’effimero, dal culto per i ritmi millenari della natura al cui confronto impallidiscono le azioni umane, anche le più grandiose o distruttive.
Savarese perciò aveva come punto d’osservazione ideale la sua Enna, la campagna ennese e il piccolo podere di San Benedetto.
Non che fosse estraneo alla storia e al dibattito culturale dei suoi tempi, anzi ne era profondamente partecipe e coinvolto. Aveva avuto una lunga parentesi romana dal 1909 al 1915 e a Roma visse spesso a intervalli, collaborando a giornali e riviste. Il culto per il frammento gli deriva dalla sua militanza tra gli intellettuali della «Voce», il ritorno al classico e alle tradizioni dalla sua viva partecipazione all’esperienza della rivista «La Ronda», come dimostra il saggio di Michela Sacco Messineo «L’aurea lontananza» (:duepunti edizioni, pp. 136, euro 12).
Dall’analisi puntuale della studiosa, preoccupata di inserire lo scrittore siciliano in un contesto nazionale liberandolo dai condizionamenti regionalistici, viene fuori un autore che, anche nei nostri tempi smaliziati e a quasi un secolo di distanza dalle opere più rappresentative, non solo resta un modello di scrittura ma ha anche molto da dire e da insegnare.
In realtà non bisogna essere molto originali per scoprire Savarese: basta seguire i consigli di Leonardo Sciascia che gli rese omaggio indirettamente titolando i suoi primi racconti «Le parrocchie di Regalpetra» calco dei «Fatti di Petra», per un’affinità tra Racalmuto ed Enna; oppure farsi guidare dall’ammirazione di Vincenzo Consolo in una breve prefazione alla raccolta di alcuni racconti pubblicati su «L’Ora» di Palermo e pubblicati in volume nel 1988 per iniziativa di Vittorio Nisticò e Mario Farinella.
Consolo faceva propria la lamentela di Arnaldo Bocelli nel numero della rivista «Galleria» del 1955 dedicato a Savarese, Lanza e Brancati: «Possibile che in questa inflazione di carta stampata, fra tanto scialo di opera omnia, non ci sia modo di raccogliere se non tutto, il meglio di uno scrittore come Savarese?».
A distanza di tanti anni possiamo fare nostra questa lamentela. Possibile? Possibile che l’industria culturale continui ad ignorare Savarese? E possibile che Enna, la sua città, il cuore pulsante ed ispiratore della sua scrittura nulla faccia per ricordarlo periodicamente?
Tra l’altro nel 1927 fondò e pubblicò a Enna, in collaborazione con l’amico Francesco Lanza, il periodico «Lunario Siciliano» a cui collaborarono Aurelio Navarria, Arcangelo Blandini, Emilio Cecchi e Telesio Interlandi.
L’allegoria morale del principe Daineo di Ballanza protagonista del romanzo «Gatterìa», pubblicato nel 1925, non perde d’attualità descrivendo un essere che«non era del tutto bestia né completamente uomo». Per i suoi comportamenti gatteschi ispira nella gente riflessioni «sulla natura degli uomini: che da volgari desiderano elevarsi ad aristocratici e da nobili si industriano a mutarsi in bestie». Il romanzo volterriano si prende gioco del linguaggio astratto di Epicarmo Gorgia, il filosofo a cui il giovane viene affidato, incapace di afferrare la realtà, di illuminare l’ignoto, di capire ciò che intorbida le coscienze, ciò che spinge il savio a comportamenti gatteschi, e l’animale ad atteggiamenti umani. E dobbiamo concordare con Daineo, e con lo scrittore che gli mette in bocca le parole, quando nella sua filastrocca, apparentemente incoerente prima di morire, afferma «forse l’uomo non è uomo ma chi sa che cosa!»
Altri racconti aveva scritto Savarese sull’esempio di Voltaire, anche in questo caso facendosi precursore della passione di Sciascia per il pensiero illuminista. Lo scrittore ennese dopo un apprendistato sul realismo verghiano e derobertiano, aveva assunto come numi tutelari anche Manzoni e Leopardi. E soprattutto aveva come stella polare la saggezza e la semplicità contadine contrapposte in ogni sua opera alla vita di città, alla modernità e alla tecnologia che spersonalizzano l’uomo, lo rendono ipocrita e lo riducono una scatola vuota.
«Ormai siamo vincitori e padroni: gli dei, i semidei, gli eroi ed i fantasmi sparvero sotto i nostri colpi. Abbiamo chiuso le porte in faccia alla natura», così scrive in «Congedi» opera del 1937.
Antimilitarista e pacifista, rimase scosso dalla carneficina della Prima guerra mondiale. Scrisse anche contro l’attesa dell’uomo forte. Del fascismo apprezzò la bonifica delle campagne ennesi, ma il culto del mondo contadino e il ritorno all’ordine dei suoi compagni di strada della «Ronda» non possono essere confusi con un’adesione al regime. Prima delle critiche aperte contenute in «Cronachetta siciliana dell’estate del 1943», in cui racconta l’invasione anglo americana dell’isola dalla sua Enna, le sue allegorie costituivano implicitamente una presa di distanza dal fascismo, così come poteva farlo un intellettuale abituato a guardare con distacco la storia.
Commentando la caduta del dittatore, in «Cronachetta» scrive: «Confessiamoci tutti colpevoli. Le colpe di un uomo hanno così profondamente potuto incidere nel nostro destino: perché erano anche colpe nostre, perché i suoi difetti erano i nostri difetti».
Sembra l’Italia di ieri, ma è anche l’Italia di oggi, di sempre.
[*da “La Sicilia” del 29.08.2010, pag. 30 – vedi la pagina in pdf]
Vero è che le opere di Savarese non sono oggetto dell’interesse di quella che Scalia chiama “industria editoriale”, tuttavia la piccola Papiro editrice ha di recente pubblicato tre volumetti, ripubblicando “Ploto, L’uomo Sincero”, “Malagigi” e “Cronachetta Siciliana” [qui]. Anche Sellerio ha dedicato energie all’autore ennese, pubblicando “Gatteria”. “I fatti di Petra” è nel catalogo dell’editore nisseno Salvatore Sciascia e, di questo libro, si parla su italianisti.it e, molto più modestamente, anche qui. ma.mi.