di Marco Scalabrino
E’ la ricerca del senso della vita il motivo dominante di questa silloge di poesie di Inês Hoffmann, proposta nella versione in Italiano del poeta Marco Scalabrino che, fedele al testo in lingua portoghese, con un linguaggio ora visionario, ora perentorio, ora velato di malinconia, ci introduce nelle profondità dell’anima, nel disordine della mente e nell’innocenza del cuore.
L’autrice sceglie l’esilio, l’auto-segregazione per sfuggire all’angoscia dell’esistere, si rifugia nella solitudine “per potere sognare / e piangere … / per rimpiangere / quel grande amore / che si è smarrito / per strada / nell’Autunno, / nell’Assenza”.
Lontana dal consorzio umano e dal clamore del mondo, spia la vita che scorre al di là del muro e non vive. Il vagheggiato spazio di libertà, dove “consegnare la vita al tempo”, volare “libera / per i mondi, / totalmente slegata / dal corpo” e raggiungere luoghi lontani, si rivela un labirinto nel quale gli specchi della paura riflettono i fantasmi che si levano con le loro “fisionomie deformi e dissolute” dal fondo buio dell’inconscio, trascinandola nella danza maledetta “degli esseri / senza memoria, / senza intelletto, / senza salvezza … di coloro il cui senno bazzica la luna”.
In una solitudine metafisica, che non la protegge neanche da se stessa, Inês deve fronteggiare gli attacchi della “bestia nera e ributtante” che dilania e lacera il seno e stordisce con “le sue ali furibonde”. Non le resta che misurare lo spazio infinito che si stende attorno a lei e l’abisso nel quale i suoi due “sé” si affrontano in una lotta cruenta che si conclude sempre con un “verbale di coesistenza” e la resa di entrambi.