di Mauro Mirci
Il caso ha voluto che, qualche anno fa, faccende sentimentali m’abbiano portato in una cittadina ai piedi dell’Etna. Lì, mentre mano nella mano ci promettevamo eterno amore, incontrai una statua che poi è diventata la protagonista di “Michelangelo Scarso, artista poliedrico”. Cercai d’immaginare chi fosse lo scultore e grazie a quali congiunture fortunose sia riuscito a spacciarsi per artista. Ne venne fuori – ma dopo molti anni – il Maestro Michelangelo Scarso, poliedrico artista di provincia; poeta e scultore, ma chissà, anche pittore e narratore.
Il racconto che segue, vincitore questa estate della sezione Sicilia alla prima edizione del Premio di letteratura umoristica Umberto Domina, è la storia – decisamente di fantasia – della creazione della statua e delle vicissitudini del suo autore. ma.mi.
Michelangelo Scarso, artista poliedrico.
— La situazione è seria — esordì Muccio non appena Scarso ebbe varcato la porta dell’ufficio sindacale. — C’abbiamo ‘sti soldi e non sappiamo come spenderli. Abbiamo pensato a una statua.
Ora, il professor Michelangelo Scarso – cinquantatreenne insegnante di applicazioni tecniche, scapolo, ultimo superstite di una famiglia di gioiellieri e avvocati – s’ingegnava d’essere artista di multiformi ingegno e capacità. Sue erano le sillogi Non t’amerei di più e Vallone di Canicarao – stampate a spese del comune nella locale tipografia Lionti Liborio e figli, ospitate sugli scaffali di entrambe le librerie-edicola di Petra Gerace. Sue le tele di esplicita ispirazione naïf rappresentanti nature vive e morte, campi di grano in giugno, mietitori all’opera, aie, contadinelle, nonché altre scene d’ambientazione agreste, che permanentemente esposte arricchivano le sale della biblioteca comunale.
Infine, proprio lui, con le sue proprie mani, aveva scolpito nell’arenaria una decina di volti che, nelle intenzioni, avrebbero dovuto rappresentare i più insigni cittadini di Petra Gerace dalla fondazione ai giorni nostri. Erano stati collocati, tali volti in pietra, in corrispondenza delle tradizionali fonti del paese, con un cannolo da due pollici in bocca a pisciare acqua a beneficio dei rari turisti che capitavano a Petra Gerace, di solito per sbaglio.
Si era nel 1996. Scarso era stato convocato dal sindaco di Petra Gerace, Muccio ragionier Nicola, l’uomo delle innumeverevoli rielezioni, il messia del dopo Mani Pulite, il maestro dell’accordo trasversale, all’epoca al suo primo mandato. Convocazione d’urgenza adeguata al problema d’affrontare: era stato scoperto, in giacenza, un residuo di finanziamento comunitario per opere di arredo urbano da impiegarsi al più presto, anzi prima, e non più tardi.
E Scarso non deluse le aspettative di Muccio, vecchio compagno di scuola. Non fu tanto la doverosa gratitudine per la pubblicazione delle sillogi – tacita contropartita, del resto, di favori fatti in aula ai tempi in cui erano entrambi consiglieri comunali, ma militavano in fazioni avverse -, quanto l’ambizione di vedere una sua opera nella piazza del municipio. Con un po’ di fortuna avrebbero pure potuto intitolargliela, quella piazza. A cent’anni, certo. Lo pensò, mentre Muccio gli chiedeva: — Te la senti?
E mentre rispondeva: — Certo che me la sento — approfittava della posizione – se ne stava seduto con le gambe accavallate, di fronte alla scrivania del sindaco, col mezzo busto inferiore ben coperto dal piano del mobile – per far scivolare una mano in tasca per una toccatina scaramantica.
Bel racconto, si legge d’un fiato. C’è forse l’umorismo di Piero Chiara, o di certe novelle di Pirandello.
Eh, Chiara!