di Marco Scalabrino
Maria Favuzza nacque a Salemi TP il 24 Dicembre 1901 e morì il 14 Febbraio 1981. Il tempo nondimeno, i 26 anni trascorsi dalla sua scomparsa, non ne hanno affievolito l’affettuoso ricordo in quanti l’hanno conosciuta e amata, né ne hanno sbiadito la levatura del poeta.
Privilegeremo, giacché questa sede e questo ruolo ciò richiedono, il profilo culturale della Nostra, con specifico riferimento alla sua poesia in dialetto, appellandoci, per la “ricostruzione”, alla pluralità dei suggerimenti che la lettura dei suoi lavori ci ha sollecitato.
Rosanna Sanfilippo, nel suo intervento GLI SCRITTORI DI SALEMI, nelle circostanze del Convegno POESIA, NARRATIVA, SAGGISTICA IN PROVINCIA DI TRAPANI organizzato dall’I.S.S.P.E, Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici, presieduto dal compianto Dino Grammatico, convegno svoltosi ad Erice il 10 Giugno 2001, la omaggiava in questi termini:
Ma già nel 1976, a riconoscimento della validità del suo dettato, Gioacchino Aldo Ruggieri l’aveva inclusa nella raccolta di poesia dialettale inedita o poco nota dell’Ottocento e Novecento da lui curata e titolata AMORE DI SICILIA, assieme con nomi all’epoca quotati quali: Emanuele Angileri, Liborio Dia, i Fratelli Giangrasso, Mariano Lamartina, ed altri. E nel medesimo anno 1976 aveva visto la luce a Palermo la sua silloge POESIE, dalla cui prefazione traiamo:
Per ostili congiunture sulle quali sarebbe fuori luogo indugiare, Maria Favuzza non poté conseguire, come le sorelle, il diploma di Maestra. Impiegata presso l’Ufficio Registro di Salemi, seppe comunque dotarsi dei mezzi linguistici e culturali atti ad esprimere in un buon Italiano la propria Weltanschauung. Ebbene, perché il Dialetto? La risposta credo sia semplicemente perché
MUDDICHEDDI, la sua opera più apprezzabile sia per la quantità che per la qualità dei contributi e dei temi, di cui per stralci discorreremo, pubblicato nel 1985, risulta essere un libro postumo. Un omaggio, vedremo, doveroso quanto meritato. Il titolo, ad un primo acchito, parrebbe discendere dall’omonimo brevissimo testo a pagina 75, nell’accezione di briciole, piccolissime dosi di checchessia; ma, invero, esso ritengo abbia inteso delineare l’atmosfera minimale che regola l’antologia nella sua interezza; quantunque, constateremo, i rimandi, le seduzioni, le prerogative travalicano poi di fatto quella esteriore etichetta. Sostenuto dalla famiglia dell’Autrice, la quale ne ha evidentemente voluto rispettare la volontà:
Il libro si apre con il componimento A SALEMI, nove quartine di endecasillabi (verso, l’endecasillabo, che Ungaretti definì “la combinazione elegante delle nostre parole”) con rime alternate ABAB. Un idilliaco messaggio d’amore e di appartenenza alla sua città,
Il tema, benché con un taglio più squisitamente storico, è ripreso nel testo dal titolo LU ME PAISI:
Ma, scontato il fatto che “l’essere siciliana” è la dimensione in cui i fatti della sua poesia avvengono e che il Dialetto è l’essenza che tale “dimensione” incarna, quali sono i contenuti e le forme della sua poesia? Che rapporti ebbe con l’ambiente dall’agone linguistico che vivacizzò il panorama della poesia siciliana tra gli anni Cinquanta e Sessanta con le querelles, allora assai avvertite e adesso pressoché sopite, su Koiné, Rinnovamento, Ortografia e sulle questioni letterarie che ne conseguivano?
I testi immediatamente successivi a quello d’apertura investono subito il nucleo dei motivi che più hanno fatto vibrare le sue corde: gli affetti e il focolare domestico, la “roba”, il lavoro e tutto quanto a questi mondi collegato.
La naca … lu cucchiaru, la piattera, li luma, la campana …, e poi tazzi, bucala, cicari, bicchiera … ‘nciratina … gli oggetti della vita familiare, la “misura” dell’esistenza quotidiana. Realtà dura,
E, malgrado la vita sia
Lo sguardo di Maria Favuzza avvolge carezzevole, elenca, nomina quelle cose, la sua penna le ferma, le scrive, le imprime sulla carta, nella volontà, nella responsabilità di perpetuarle, più che per sé per gli altri, per quelli che verranno dopo, per coloro che a quel contesto storico, sociale, culturale non sono appartenuti o sono appartenuti solo di striscio, e non avranno perciò modo di conoscerlo, di viverlo tranne che ripercorrendolo nel verbo immortale del Poeta (“può morire Giove – Carducci docet – ma l’inno del poeta resta”).
E, dicevamo poc’anzi, il lavoro, in un’epoca in cui le macchine erano un miraggio e l’uomo svolgeva le proprie occupazioni, che connaturate alla oggettività rurale del territorio e del tempo erano principalmente quelle dei campi, con il solo ausilio degli animali: uno per tutti LU SCICCAREDDU DI LA SENIA, remissivo, pasinziusu,
In tale clima, lirico quanto realistico, nostalgico quanto attento alla ineluttabilità del mondo in travolgente evoluzione, concreto quanto orientato alle istanze dello spirito, si innesta il recupero di un lessico svigorito o di imminente declino: iffula (matassa), caiuna (dirupi), pilusci (pellicce), chiumazza (materassi), ragnola (grandine), balacu (violacciocca), sciavateddri (mufuletti), sagnaturi (mattarello), ammartucata (debilitata), mirriuni (fazzoletto annodato alla nuca), trubeli (tovaglia da tavola), lungo il monito di Pietro Tamburello per cui
Ci sono delle immagini ricorrenti nella poesia di Maria Favuzza:
Ma il suo è un caleidoscopio riccamente mutevole: una affascinante, femminile, riedizione mitologica della Sicilia, in base alla quale essa ha avuto origine da uno scialle che la luna
Quanto detto parrebbe a sufficienza promuovere la poesia di Maria Favuzza, ma … <È la forma – sostiene Attila József – che fa l’arte, benché il carattere artistico essa lo riceva dal significato, dal contenuto>.
E allora sfogliamo insieme alcune delle formulazioni della sua poesia: l’immagine graffiante di
Un componimento, NTA NA STRATUZZA, di grande perizia, da leggere con dedizione, con coinvolgimento, con riguardo alle scansioni, al fine di assaporarne la tensione lirica, penetrarne i gradi di invenzione, condividerne la meraviglia della icona. Un convinto plauso a uno tra i testi migliori della crestomazia al quale nella sua interezza vi rimandiamo e di cui, solo a mo’ di assaggio, si riporta una quartina:
E per arrotondare questa rapida rassegna:
Seducente il fotogramma
E arriviamo, zoomando tra le pagine sia di MUDDICHEDDI che di POESIE, agli esiti più allettanti e a qualche peculiarità.
Parole. Ma, parole che nell’alchimia del Poeta si animano, s’ammantano di costrutti che eccedono la loro semplice lettera; lemmi comuni che nel loro inusitato codice compongono scenari irrefutabilmente unici, disegnano profili squisitamente singolari, assurgono a originale tramite retorico con cui il Poeta restituisce – l’affermazione è di Viktor Borisovic Šklovskij – la
TEMPU DI NATALI. Questo componimento a pagina 55 di MUDDICHEDDI è altresì compreso, in una stesura diversa, nel più lungo e articolato componimento racchiuso nel volume POESIE dal titolo LI FICUSICCHI, di cui è la sezione conclusiva. Come ne fosse un estratto, spicchio pregevole tanto da emanciparsi e da spiccare il volo in solitaria. E, giacché ci siamo, un ulteriore testo: ANTICU CANTU, appare su entrambe le antologie, pure esso con delle differenze. Nessuno scandalo! Non è forse l’assillo dei veri poeti non reputare mai del tutto licenziata la propria opera, tendere ad un costante esercizio di revisione a fronte di accresciute conoscenze, emendate sensibilità, adeguati entusiasmi, compiere una incessante auto-analisi stilistica ed ideologica al fine di “sgriciari la pirfizioni”? Già per Orazio vigeva la norma del limae labor et mora, per Rolando Certa:
In aggiunta a POESIE e MUDDICHEDDI, gli organizzatori, nelle persone di Rosanna Sanfilippo, del preside Salvatore Angelo, della professoressa Mirella Angelo, hanno messo a mia disposizione due complementari documenti: l’antologia del 2002 PI ANNATI E VANEDDI, che ospita brani estrapolati dalle citate pubblicazioni e due brani inediti: QUANNU LU SECULU ERA ANCORA NFASCI e FRAMMENTI, un fascicolo che Mirella Angelo che lo ha curato definisce intriso di
Il titolo, RAPI LA FINISTREDDA, che apre la raccolta POESIE ci offre il destro per una aggiuntiva riflessione riguardo ad una peculiarità del dialetto siciliano: la dd, che costituisce uno fra i suoni più caratteristici della lingua siciliana: dda/ddu/ddi, il cui suono è cacuminale mentre quello di d è dentale, da non confondere con la “doppia d” che è un segno diverso. Derivante dal tardo-latino (capillus, caballus etc.) è talmente fuso nella pronuncia da essere considerato un segno a sé stante e non il raddoppiamento di due d. Infatti la suddivisione sillabica di addivintari, ad esempio, è ad-di-vin-ta-ri, mentre quella di cavaddu è ca-va-ddu. Non sono mancati nel tempo i tentativi di sostituire il segno dd con ll, ddh o ddr, e con i puntini in cima o alla base di dd, ma gli uni e gli altri si sono arenati.” In POESIE, del 1976, Maria Favuzza perciò in vita, il segno, registriamo, è reso con la dd, finistredda, stiddi, capiddi, eccetera, ma altresì con la ddr, aneddri, picciriddra, vaneddra, cuteddru, sintomo che una scelta non è stata fatta; e financo in taluni passi di MUDDICHEDDI, del 1985, successivo pertanto alla sua morte, i curatori hanno talvolta usato il segno ddr, cuddrureddra, miliddri, beddru.
Una ultima notazione, ma ben più ad un approfondito esame si potrebbe sviscerare, concerne, precipuamente in POESIE, la nostra “c” dolce strisciante, sovente graficamente resa col segno “sc”: scipressi, adasciu, stasciuni, dusci, cunnusci, eccetera. Segno, la “c”, massimamente quella derivante dal fl latino, flatus, flos, flumen, e di conseguenza in Siciliano: ciatu, ciuri, ciumi, che altrove e in altri tempi – già Lionardo Vigo nella seconda metà del 1800 ne sollevò il problema della determinazione ortografica – è stato graficamente reso con la “x”, “xh”, “ç”, o per l’ appunto con “sc”.
La poesia di Maria Favuzza trapela della identità dell’Autrice: semplice, radicata nel proprio territorio, dignitosa, rivelazione di sé, del suo tempo e della sua gente, nel cui linguaggio, ancorché guarnito dalla creatività, dal talento, dal “mestiere” di cui il Poeta è detentore, distilla pulsioni, vicende, inquietudini.
Nell’avanzare del progresso tecnologico,
Si avverte una grazia tutta femminile nel dettato, un garbo remoto, di quando in quando una vena crepuscolare,
Maria Favuzza è una vera scoperta o, per coloro che l’hanno conosciuta, apprezzata, letta, una fausta riscoperta. L’odierna commemorazione, della quale dobbiamo essere orgogliosi poiché la sua testimonianza per la cultura, la poesia, la storia siciliane assolutamente non debbono andare perdute, intende dunque proporsi quale l’opportunità per far riappropriare la poesia dialettale siciliana di una Autrice che dà lustro alla propria terra, che merita di essere celebrata per favorirne, ben oltre questa essenziale disamina, uno studio critico rigoroso e la ristampa organica delle opere.