Nino Savarese. I fatti di Petra

di Mauro Mirci

Quando Leonardo Sciascia si dedica alla stesura del suo Le parrocchie di Regalpetra, la citazione de I fatti di Petra, di Nino Savarese, è esplicito. Sciascia colloca altrove la sua città immaginaria, la identifica con Racalmuto, la immagina intessuta di strade a lui ben note. Nino Savarese, invece, immagina la sua Petra nell’entroterra. E’, in realtà, un entroterra ben strano, non troppo lontano dal mare (a sole cinque miglia), ma sul quale il mare ha poca influenza. Curiosamente la Petra di Savarese, ha alcune peculiarità, – inerenti la sua collocazione geografica – che l’avvicinano molto più a Racalmuto che a Enna, città nella quale Savarese nacque nel 1882.
Dedicarsi ancora a questo gioco di parallelismi e identificazioni rischia però di divenire un’attività sterile. Petra e Regalpetra sono città immaginarie come lo sono tutte le città immaginarie che si rispettino. Adempiono al loro compito principale, che è quello di non consentire a chicchessia – nemmeno all’autore, credo – di affermare con sicurezza dove si trovino, perché esisteranno sempre incongruenze e contraddizioni che frustreranno qualsiasi tentativo di collocazione certa.
“I fatti di Petra” rappresenta per il lettore, quindi – quanto meno il lettore che conosca l’interno della Sicilia – anche un tentativo di lettura in trasparenza delle vicende e dei personaggi che hanno ispirato il romanzo.
La storia di Petra parte da lontano, dall’epoca mitica degli dei e dei semidei. Erano i lestrigoni che occupavano le terre sulle quali sorse Petra – ci narra Savarese -, questi esseri antropofagi dalle dimensioni colossali, fuggiti dalle regioni dell’Etna, che scorazzavano liberamente tra la costa e il piano, costringendo i sicani tra i monti, nelle caverne. E’ Ercole che finalmente, approdato sulla costa, con la clava e la pelle del leone Nemeo gettata sulla spalla, li libera dalla minaccia dei lestrigoni alla maniera degli eroi omerici. Infine chiama attorno a sé i sicani.


“Dopo che si fu riposato, Ercole chiamò a sé gli uomini più validi, ed ordinò che in quel punto essi stabilissero le loro dimore, ormai sicure, e che cominciassero subito a trasportare le pietre per i muri, i tronchi e le frasche per i tetti.”
Petra è nata. Ercole abbandona la neonata città e i suoi abitanti per affrontare nuove avventure.
“I fatti di Petra” inizia così, subito appresso a una breve premessa utile a fornire al lettore utili indizi sull’ubicazione di una città inesistente, è vero, ma che Savarese dice citata da Diodoro siculo.
Come il lento diradarsi della nebbia rende sempre più nitida la visione di una scena o di un panorama, così la narrazione di Savarese ci descrive con maggiore dettaglio la città a mano a mano che si fa più vicina nel tempo.
La partenza di Ercole segna l’addio all’età del mito e della leggenda. La stessa barca di Ercole, che l’eroe ha abbandonato, viene trasportata nella città e posta in una piazza, in un tentativo di tenere vivo il ricordo di un’epoca nella quale il soprannaturale predominava sulla ragione, l’empatia con la terra prevaleva sul semplice sfruttamento delle campagne e dei propri simili.
Il legno della barca è però fragile e soggetto alle ingiurie del tempo. Infracidisce e si dissolve, sostituita, per opera dei petresi stessi, da una scultura di pietra. A poco a poco il ricordo delle origini si perde. Viene mantenuto solo l’antico nome della piazza: Piazza della Barca. La barca, ormai ritenuta solo una antica fontana in pietra a forma di barca, coabita con nuovi abitanti e nuove abitazioni.
Il passaggio dalla narrazione epica a una in stile più eminentemente storico-cronachistico segna la prima significativa soluzione di continuità di questo romanzo. Petra perde l’alone del mito, e assieme a questo, forse, perde l’innocenza. Savarese identifica la memoria delle proprie origini con l’assenza di peccato originale. La rinuncia alla memoria allontana Petra e i petresi dall’Eden ideale nella quale la città aveva avuto il privilegio di esistere. La precipita nel mondo a noi più prossimo: la precipita nella storia.
La Sicilia è stata oggetto di numerose ed eterogenee occupazioni. Savarese ne ricorda molte. Senza dimenticare chi, in Sicilia, fu solo di passaggio (i fenici), cita greci e romani, arabi e normanni, spagnoli e angioini, savoiardi e borboni. Né manca di descrivere i fatti salienti della città e dell’umanità che in essa vive.
“In tutto il racconto non manca quel senso di umanità mortificata che lo scrittore assume dinanzi al demoniaco che spesso copre nell’uomo” scrive Salvatore Orilia nel suo saggio “Umanesimo mediterraneo di Nino Savarese”
Mai, infatti, permette che il suo romanzo divenga narrazione di cose. “I fatti di Petra” è essenzialmente un racconto di persone. Savarese mantiene sempre, al centro della sua storia, l’essere umano, le sue pulsioni e le sue grettezze. Raccontando della guerra condotta, per il possesso di un pascolo, dai petresi contro la vicina città di Castrorao, più che sui fatti d’arme, l’attenzione si concentra sui combattenti. Il macellaio Squarcialupo – che con una sua iniziativa aveva portato allo scontro armato e che festeggia la vittoria distribuendo carne a prezzi ribassati nella sua macelleria – è un ritratto a colori vivissimi dell’arroganza e della volgarità dei vincitori. La successiva pagine, dove si descrive la restituzione delle campane predate alla città sconfitta, sono un bell’esempio dell’abilità di Savarese nel disegnare le credulità e le superstizioni del popolino e degli incolti.
Nella seconda parte la narrazione passa alla prima persona. Il narratore è il petrese Leonardo Incisa, alter ego al quale Savarese può attribuire ricordi diretti dei fatti che narra. Ritorna il tema della conservazione della memoria, dunque. Leonardo Incisa rievoca la propria vita e quella della sua città; lo fa per iscritto, ricordando ai posteri che anche di essi si perderà il ricordo, come loro lo hanno perduto dei loro progenitori. Tuttavia:
“Anche di essi fallirà il ricordo, nell’intricato tessuto delle generazioni, e fin da ora è segnata la certezza la fine, giacché la storia di una città è la storia della morte dei suoi cittadini.” La forma scritta ha un fine esplicito: è l’unica forma di comunicazione capace di travalicare le barriere del tempo e quindi di ribadire “che solo il ricordo sopravvive”. E’, alla fine, l’unica speranza di immortalità.
Petra si apre all’età moderna. Nella città “parte in piano, e parte sopra una piccola altura” giungono il lume a petrolio e quello a gas, la ferrovia, l’energia elettrica. Finanche un pallone aerostatico che, per l’incuriosito pubblico, porta in cielo una “Donna volante”. Giungono anche contrasti sociali nuovi; non sono più solo i braccianti a patire la soperchieria, ma anche gli operai per la costruzione della nuova galleria ferroviaria. Petra cambia, ma il racconto di Savarese parla di uomini. E gli uomini – come le loro miserie e le loro virtù – non cambiano.
“C’è la casa sfacciata sul mercato, coi letti che si vedono dalla strada… c’è la casa povera e vergognosa, dove non giunge mai nessuno, alla quale non si avvicinano né venditori ambulanti né accattoni… c’è la casa opulenta, ma di gente dozzinale, che trasuda tutta di grassi commerci…”
E ci sono anche “case di donne sole che guardano la vita della città da uno spiraglio del balconcino socchiuso, come da una sponda di rinuncie [sic], e l’amore come una fiammella che illumina sempre più lontano, e lontano si estingue a poco a poco.”

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