di Mauro Pettorruso
ombre di vita e di pensiero” (F. Pessoa)
Il poeta è un fingitore, non un narratore. Indossare una maschera significa smascherarsi, selezionare un dettaglio dal molteplice: questa è l’anima dell’esplorazione. Versi in prima persona di un io straniato. In un luogo non detto ma vero, un io compie la parabola dei respinti muovendo le sue “ombre di vita e di pensiero”
***
Esserci è un giaciglio
nel ventaglio potenziale della vita
come appesi sulla soglia
è rivedersi in un gorgòglio
del tombino o in un abbaglio.
***
Ho clonato il mio deserto
di passioni in uno specchio,
i miei ricordi li ho lasciati
dentro a un secchio, spalmato sull’asfalto.
Se ancora, guardando le mie orme,
i predicatori dicessero “persona”
non tarderei a riconoscermi dio
e verme: debole e inerme
nel mondo delle brecce, dei fossi,
in un perenne oblio.
***
La coltre iàlina al mattino
mi rende le parole un po’ più rotte.
Nell’ora lieve degli uccelli
io vado oltre e taccio: ormai
non sono che un crostaceo in apnea
ridato nella notte
da un’onda di marea.
***
Non conosci l’incerto volteggiare
di bottiglia in bottiglia: è una spirale.
Come il rancore, improvviso temporale,
si abbatte al suolo e duraturo
al suolo ristagna.
Tra zolle di asfalto si infiltrano i semi
di mietiture passate:
se pur ci abbandonano restano muffe,
tracce e ferite di giorni tritati.
***
Un barlume, appena un raggio,
sarebbe meraviglia nella pioggia
e aspettarlo sperando uno spiraglio
nel tempo che da tempo sto aspettando:
ma vana è l’attesa, un giro in tondo.
Come un ciclo indifferente si compie
e lascia inerte ad ogni istante
un grammo almeno del mio mondo.
***
Quando ascolto chiamare il mio nome
tarda troppi istanti la figura
di me, che è il me reale. Quell’io,
si ritrova a volteggiare come oggetto
nel trambusto della stessa armonia.
Finché scopro con puro sospetto
che disperse, sul fondo del tugurio,
fuggono folli gocce di mercurio.
***
Una brocca ti amplifica le ore
e il rovescio rallenta la clessidra:
delicatezza del tempo immaginato
ma impazzito in frantumi di vetro.
Ciascuno in ogni anima dispersa,
in un ventre rammollito o posato
nella breccia tra due rocce.
***
E’ inutile che ancora aspettiate
in una sala decorata a vostro gusto:
neppure un seme avrete, nemmeno un velo,
i miei occhi già troppo stanchi
da tempo non guardano più il cielo.
In questo vagare mi sorge un dubbio,
un dubbio ancora: pallido è un colore
o uno stato mentale al potere?
***
In questa notte le stelle scese adagio
lente consumano il divario,
son gocce dal caso disposte.
Nell’armistizio della luce
l’ennesimo presagio
bugiardo della morte.
***
L’impalcatura cede talora
instabile al timore
dell’ingenuo fraseggio del potere,
di una marcia sorda, al sussurro
del contagio universale.
E’ un’atmosfera la verità proibita.
Si adagiano in preghiere nella sera
ciascuno incapace a scandire il suo nome
si inceppa un meccanismo quasi come
un cubo che non sfera.
***
Uno stato minerale corre ad infettare
l’intimo alito delle fogne, l’umido
sapore delle vigne,
il sobrio torpore del mattino.
E’ l’ora di un silenzio carnale, io
il soggetto che scompare
all’ombra di parole.
E in quell’ombra giaccio ancora
come sospeso.
***
Al capolinea raccolgo la conchiglia,
i cocci, la gioia della fuga;
mi dipano dal groviglio, poi risputo
ogni lugubre poltiglia.
Frugando tra i rifiuti in molte parti
mi ritrovo tra i frammenti marginali,
rimasuglio, come il resto degli scarti.
Pubblicato per gentile concessione di Mauro Pettorruso