Biagio Salmeri. Testi scelti

Ricevo da Biagio Salmeri e volentieri pubblico. ma.mi.

Biagio Salmeri, medico psichiatra, vive a Catania.
Per la poesia, ha pubblicato: “E passano nebbiosi i bastimenti”, Premio Montale Inedito, in “7 Poeti del Premio Montale” (Scheiwiller, 1998); “La via umida” (Il Girasole, 1999, prefazione di Silvano Nigro), Premio Dario Bellezza Opera Prima; “Voci di sola andata” (Lietocollelibri, 2002, prefazione di Marco Guzzi); “L’esatta cubatura del vuoto” (Manni, 2002, prefazione di Elio Pecora); “La pace e il dissenso” (Passigli , 2007, prefazione di Maurizio Cucchi).
Suoi componimenti sono stati pubblicati su svariate antologie e riviste letterarie.

Da “La pace e il dissenso”, Passigli 2007, prefazione di Maurizio Cucchi.

***
Di ombra in ombra, dunque, si fa notte,
felpati i corridoi dirigono verso le camere da letto,
dove distesi stanno i corpi, nelle plastiche pose del sonno,
o senza posa si rimodellano come tizzoni in attesa di spegnersi, ci sono
resti di mela sul tavolo in cucina dall’odore acre
di acetone, e sconfinano dalle fessure
piccoli esseri repellenti,

gli amanti, intrecciati come rovi e come il mare cadenzati,
vorrebbero intorno a sé un’unica, lunghissima notte polare,
agli inquieti le lenzuola sembrano tele di ragno,
mentre cercano fra i denti con la lingua i fastidiosi residui del giorno,
ogni notte l’uomo pare afferrare di sé qualcosa, come,
nel suo stesso nero in fuga, la parvenza di una seppia.

***

Anche a tornare indietro, al letto dove si è nati, al punto esatto dell’attecchimento dentro la madre, persino alla larvata idea di procrearci, scendendo pure alle radici dell’albero dei nostri avi, fino alla nuda terra,
anche a prenderne una manciata da analizzare, sapendo tutto su carbonio e azoto,
l’origine è altrove, irrazionale e oscura come la fine,
con cui si ricongiunge su una ruota di eventi,
così prevedibili da aver bisogno di spingersi oltre,
ai raggi, al mozzo, all’asse, e quindi al carro, al conducente, al carico che porta e dove, al mulo che tutto traina, sordo alla fatica, alla lunga strada che resta da percorrere,
la cui storia è solo all’inizio,
e tu già dormi,
figlio.

***

Cumuli di cose ordinate,
libri su libri, frutti nelle ceste, pile di bicchieri, piatti, lenzuola,
rotoli di carta,
i trenta piani di un grattacielo, con tutta la mobilia e l’umanità che vi abita,
l’orbita precisa dei corpi celesti, i defunti incolonnati nelle pareti dei cimiteri,
il nesso logico delle parole,
senza tutto questo,
dinanzi a scarpe e calze spaiate, all’anarchia degli asteroidi e dei tumori, alle onde anomale e ai pensieri originali, al mutamento costante di batteri e virus,
dinanzi all’infrangersi dei termometri e al mercurio libero,
ai fumi dell’alcool, alle aritmie del cuore, alle passioni senza freni,
si invocherebbero, a furor di popolo, più controllori, vigili e tiranni,
affinché, fra previsioni del tempo, lettura della mano ed esperti di borsa, non sia del tutto casuale, ma congruo e conseguente,
l’evento in sé caotico
della propria morte.

***

Prima che sia tardi.
Prima che il dolore si incarni. E al posto della vita progredisca una malattia. E il marcio degli alberi, cadendo, macchi in permanenza il pavimento di cotto. E il vento, spostando le tegole, faccia penetrare l’umido in casa.
Prima che il declino sia reso evidente dai vetri rotti, dalle crepe sui muri, dalla vecchia mobilia coperta di lenzuola.
Prima della porta sbattutaci in faccia, con spregio, dalla solitudine. Prima dei figli che scrivono lettere una volta all’anno, dai due capi del mondo.
Cogliendo il momento in cui gli altri dicono: – Perché sta male se ha tutto? – E gli uccelli resistono indomiti nel gelo del cuore.
Quando la voce, pure impedita, chiama e c’è ancora tempo per seguirla. Prima del silenzio.
Prima del crollo.

***

L’andamento regolare dei figli a scuola,
la solvenza puntuale del mutuo e delle bollette,
la progressione lenta e prevedibile del logorio biologico,
un responso seguito dal silenzio,

da pensieri che, prima di smarrirsi,
sono la folla di un cinema durante un sisma,
o il salvate le nostre anime
prima le donne e i bambini,
di una nave che affonda,

mentre si inghiottono pietre di saliva,
come cadono i pezzi del soffitto o le scialuppe in mare,
fino alla pace grave che regna infine fra le macerie e i relitti,
in una visione lucida del proprio essere, pari al collaudo di un edificio,
col progetto dinanzi, e lo schema degli impianti,
la conoscenza esatta, dentro i muri, del tragitto dei tubi,
e, sotto le piastrelle, delle fondamenta,
come del carico sorretto dalle travi,

per quello che serve, in fin dei conti, sapere
che l’ultimo pilastro a reggere al collasso
è solo un muscolo involontario,

come nell’uomo il cuore.

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