Tracannando la Sicilia

di Pippo Zappulla

L’uomo ritornò nella sua terra dopo anni annorum, da Napoli a Catania in nave, un altro continente, lì pioveva qui c’era il sole. Sbarcò con auto propria direttamente fra le macerie del porto-mercato, dietro al duomo, sporcizia cartacce plastica spazzatura straziata da cani e gatti, prese per Siracusa barcamenandosi fra un dedalo insensato di sopraelevate, da giovane passava per la plaia ora inaccessibile ai turisti, che ci vanno a fare. Buche sporcizia plastica.

Dal silenzio del castello Eurialo contemplò la campagna appena arata, qui non ci viene per fortuna quasi nessuno, poi guardò in giro a perdita d’occhio rilievi distese oasi con palme, un aberrante pinnacolo al centro città, poi il mare poi Priolo le ciminiere in mezzo alle case il mare lì azzurro, il posto di lavoro asfissiante, la pesca non rende si sa e la terra qui è tutto pietra e il turismo non è cosa, si leva una nuvola di polvere fra le zampe di un pontile in ferro mostruoso, la campagna è ordinata, le masserie distrutte invase dai fichi e dai rovi, forse torneranno un giorno i greci, ad Avola si fermò al caffè Finocchiaro per il cannolo che è sempre quello, preparato all’istante, strano questo non l’hanno cambiato, e su per la disfatta di Noto, quella nuova, per non parlare di quella antica, almeno quella è distrutta ma non di nuovo adesso, la madonna della scala, la fonte secca, le cave abbandonate, silenzio per fortuna.

Deviò per Palazzolo Acreide, Buscemi la città museo, Buccheri di suo padre, Vizzini di Verga, Chiaramonte Gulfi, sporcizia buche plastica, la terra però intatta ben curata nettissima. Godette al Carrubo di Acate, alloggiò in un palmento antico salvatosi a stento dalla rovina bevve vino di Vittoria con dolcetti scacce melanzane pomodori formaggi di primo sale oasi meravigliosa, e poi visitò i parenti fra plastica e serre sventrate, serviranno coperte quando al nord mancherà il sole per nove mesi, e da lì per il Bosco di Santo Pietro e Caltagirone buche sporcizia e plastica, ma la campagna è dolcissima e il vino è vino e i dolci di miele su su fino a Enna che non aveva mai visto prima d’ora e dal castello rivide adesso l’Etna lontano pulito e struggente vicino sporco plastificato. Poi scese verso il mare e non ne volle sapere di fermarsi ad Agrigento verranno prima o poi i Greci sporcizia buche cemento scorrimento veloce e a Sciacca cercò un telefono ma trovò le cabine scassate o adibite a usi impropri oppure l’apparecchio era guasto e si diresse nuovamente all’interno Menfi Partanna Castelvetrano percorse strade provinciali SP non dismesse ma impraticabili a rischio totale buche quasi abbellite dalle erbe spontanee rigogliose che nascondono la vista in curva ma anche sul rettifilo che qui però non c’è che siamo in montagna o quasi e a un abbeveratoio rinvenne una targa a ricordo di un carabiniere trucidato dalla mafia non nominata posto di campieri cu fu? a dorso di mulo e coppola e lupara e le cicale e il sole e il vento scorrimento veloce SCV tutto plastica sporcizia e immondezzaio ai lati della strada bottiglie e sacchetti pieni a marcire fino ai bordi del coltivato maisia che la terra è sacra la strada è di tutti fate a piacimento. E Mazara non l’ospitò che lui tanto avrebbe voluto per ricordi giovanili ai tempi dell’università per studiare le cooperative del sud qui cantine sociali perché la terra si confonde con i vigneti e fu così che arrivò a Marsala la città araba e inglese del vino e si concedette un prolungato soggiorno per visitare cantine e gustare delizie del palato nella pasticceria di via Roma e vini scelti nelle trattorie del luogo. Lo colpirono gli spazi restaurati dei palazzi antichi il complesso di S. Pietro, il convento del Carmine, Porta Nuova e Porta Garibaldi, il museo dei Mille e la storia patria frammista alla vita quotidiana e i moti rivoluzionari contro i borboni ancor prima dell’eroe dei due mondi, la bella piazza del Duomo. E credette riflettendo di capire visitando la città in ogni vicolo e Mozia che chi produce un vino vergine come questo lasciandolo invecchiare per anni non dovrebbe poter essere lo stesso che insudicia e distrugge consumando e tracannando ogni cosa senza legge né regola alcuna né costrutto correndo contro ogni limite per le strade SCV a scorrimento veloce senza rispettare la propria vita e l’altrui. E neppure si potrebbe credere che chi poneva mano ai vigneti di Mozia o alle saline dello Stagnone gustando e insaporendo e deliziandosi di dolci e mieli sia lo stesso che ha costruito case dove prima aveva piantato l’ombrellone sulla spiaggia. Propriamente, non si può dire che egli fosse un intenditore; gli piaceva bere il giusto, sì; anzi, meno del giusto, assaggi, forse; degustazioni, come si dice adesso. Non più di un dito, grazie. Odiava il tutto pieno, gli viene in mente il galleggiante, è chiaro. A sorsi, dunque? No, che sorsi? (la Coca Cola, semmai!). Un voluttuoso prosciugamento fino all’ultima goccia uuuuuhhhhh… Quante volte a pasto? Cinque, forse dieci. Non è lo stesso come tracannare dieci bicchieri pieni, dove sta il gusto? Torneranno qui i Fenici? Intenditore quel tanto da capire che un vino sta prendendo la via dell’aceto o se sa di tappo e del vino sapeva solo che nasce dalla vite come ricordava dalla storiella che raccontava suo padre di quel contadino disonesto che prima di morire riunì i figli vinai per ricordare loro che il vino si può produrre anche con l’uva caso mai se ne fossero dimenticati. Raggiunse Salemi e Trapani e ovunque la stessa evidente sporcizia plastica discariche fino all’inizio del vigneto coltivato a perdita d’occhio e Gibellina e Santa Ninfa Salaparuta e Santa Margherita Belice e il Gattopardo tutte distrutte fatti salvi i vigneti. Rovine aggiunte alle rovine e un’aria sinistra e il lenzuolo funebre di Burri a coprire sconcezze lacrime amare e desolazione fatta carne e sangue. Chi berrà di questo vino di una terra martoriata e straziata, a Gibellina non è rimasta in piedi una sola casa ma i vigneti succhiano ancora il sangue scuro della terra rimasta senz’anima e la nuova che ne ha preso il nome è segnata da artisti di grido la chiesa sbarrata è una stazione spaziale risparmiate almeno i sopravvissuti. Al Baglio Di Stefano si unì ai commemoranti di Borsellino ascoltò discorsi e pianse ai monologhi della ragazza stritolata tra i poveri porci macellai di mafia e i mandanti politici dio non voglia fra la folla dei celebranti che il sospetto s’insinua svelto fra queste montagne mentre sorge la luna chi berrà di questo vino amaro e sventurato. E apprese allora che Borsellino definiva questa terra disgraziata lo stesso che era capitato a lui in visita al fratello anni prima in riva al mare dove venne ucciso per mano di uno sciagurato il marito della nipote dicono per sbaglio di persona. E quel giorno stesso di Gibellina era voluto andare a Partitico dio ce ne scampi e in piazza con la compagna sua tenendosi per mano a esorcizzare paure antiche quando scorse inorridito un ratto ucciso in bella vista sul marciapiede della via centrale fronte alla chiesa madre e tutti fingevano di non vedere vigili preposti all’ordine pubblico compresi e nessuno che chiamasse chi di dovere a rimuovere l’ignobile scempio chi berrà di questo vino disgraziato se non torneranno i fenici i greci gli arabi a costruire di nuovo templi su templi a Segesta a Selinunte a Agrigento non serve tracannare. E ancora a Corleone quasi tremante ma per obbligo civile costretto da se stesso quando sdraiato a riposare su una panchina della villa si sentì chiedere soldi da due bambini per restare lì tranquillo ahimè e il barista sfoggiava il liquore Il Padrino, si campa, se si campa, anche con questo, per concludere la giornata alla commemorazione di Borsellino disintegrato da chi sporca insudicia plastifica cementifica tracanna allora vuol dire che non c’è colpevole perché lo sono tutti qui è stata una disgrazia non s’è fatto gli affari suoi. Com’è possibile che questa terra che produce vini prelibati e dolci inimitabili melanzane e pomodori e peperoni e meloni profumatissimi si sia ridotta a un abominevole immondezzaio a cielo aperto?
E per risolvere il dilemma volle correre a Palermo dove anni prima aveva gustato fino allo spasimo la pasta con le sarde appena dietro al porto nascosto alla vista del mare che potrebbe giusto distrarre seduto in piazza con uno scirocco che asciuga e fa sudare e vi trovò gli stessi sapori e se ne riempì l’anima se continueranno a deliziarsi di questo piatto ma tutti si precipitano sugli antipasti al buffet tracannano ogni cosa e non sono più in grado di apprezzare fino in fondo la pasta con le sarde il vino e i dolci e gli venne in mente che qui e lì aveva scorto bagli rimessi a nuovo per i turisti a uno sproposito per notte pulitissimi e dignitosissimi alberghi cinque stelle dove i locali fanno casomai da servi come a Termini Imerese a Priolo a Gela che chiamano insediamenti industriali e i nostri mosti vanno in continente come vino da taglio a dare nerbo a bevande inconsistenti e senza sole.
Desiderò ardentemente ripartire con il ricordo della pasta con le sarde e del vino della Cambusa di Palermo che cancellasse il territorio maciullato fino a oscurare il sole per l’olezzo e la barbarie ma torneranno fenici greci e arabi oh se torneranno e a Palermo si imbarcò su una nave veloce per Genova dove naturalmente al self service proponevano esclusivamente Valpolicella Sartori è chiaro, quale armatore imbarcherebbe vino di Sicilia sulla propria nave, scherziamo.

Pippo Zappulla, 2004-06-13

Pippo Zappulla. Nonostante sia nato al bel sole di Sicilia, oggi risiede in Friuli. Dotato di un forte istinto che lo accomuna a certi uccelli migratori, ha vissuto in precedenza a Roma (dove ha studiato teologia e sociologia), quindi a Verona, poi a Milano e infine a Gorizia, sua attuale residenza. Alla ricerca di uno stile di vita quanto più possibile pieno e soddisfacente, ha svolto negli anni i mestieri più disparati; nell’ordine: uomo di chiesa, docente di filosofia, disoccupato per scelta, investigatore per alcuni uffici legali di diverse banche, bancario, nuovamente disoccupato per autonoma decisione, agricoltore, allevatore (non corrisposto) della famosa Helix pomatia, autotrasportatore, venditore (con scarso successo) porta a porta, agente di commercio, allievo presso una scuola per la formazione di redattori, redattore in casa editrice, giornalista pubblicista, free lance per diverse testate giornalistiche in ambito salutistico. In particolare, da alcuni anni segue le vicende che riguardano la cosiddetta medicina non convenzionale, dandone puntualmente conto ai lettori. Intento a eludere, per quanto possibile, la sorveglianza, senza farsi peraltro molte illusioni, ritiene di essere in buona compagnia con quanti vivono senza drammi e isterismi, ma con profonda commozione, la banalità di tutti i giorni.

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