Time exchange

di Eugenio Ragone

Continuiamo con la pubblicazione dei racconti finalisti del Concorso Racconti di Primavera. E’ ora la volta di Time exchange, scritto da Eugenio Ragone, Bari.

C’è puzzo di morte, quando entro da Svigo. Il solito puzzo da time exchange, impossibile da nascondere a un naso esperto. Ha voglia, Svigo, a riempire il suo locale di profumi; l’olezzo di morte ristagna comunque, in posti del genere, inavvertibile per i pivelli, ma non per i veterani come me. C’è chi dice perfino che questo odore segreto gli piace, lo stimola, come il sentore di acido fenico mescolato al sapore dei ricci di mare, o certi effluvi selvatici sulle zone intime di un corpo desiderato. Io cerco semplicemente di ignorarlo, concentrandomi sulla merce in esposizione.

Stamattina l’offerta è piuttosto generosa:ben quattro individui, in tre box diversi, tra cui poter scegliere. Svigo mi viene incontro con il solito disgustoso sorriso lenone da aspettavo proprio te carissimo, è tanto che non vieni a trovarci.

E si capisce che ci vediamo di rado, figlio di puttana, hai i prezzi più alti della città e un disgraziato come me, che se li suda, per mettere insieme i soldi necessari deve schiattare anni.
– Tre anni, Rico, tre lunghi anni stavolta, prima che tu ti sia ricordato di far visita al tuo amico Svigo.
Laido da voltastomaco, ma conviene abbozzare.
– Ci verrei più spesso, se non fosse per gli affari (figuriamoci se mi metto a piangere miseria con te, brutto sciacallo). Vediamo se ciò che hai da offrire giustifica l’aumento dei prezzi.
– Oh, lo sai bene che io prendo solo una piccola percentuale, il resto va a loro. – E indica con un sorriso mellifluo quelli nei box, al di là dei vetri unidirezionali. Sorrido anch’io con una smorfia che vuoi dire “vallo a raccontare ai gonzi, e con un gesto della mano gli faccio capire che voglio osservare in pace i candidati prima di scegliere; lui si ritira di qualche passo, e io mi dedico a studiare i quattro.Comincio dalla ragazza: aria strafottente mentre guarda la olo-tv, venticinque circa, uno e sessantacinque, direi; niente di specialissimo, ma quello che ha lo valorizza bene, a cominciare dalle lunghe cosce bianche accavallate e dai bei piedi curatissimi inguainati in un paio di mocassini trasparenti all’ultima moda. Chissà che pensa di farsene del gruzzolo che si beccherà se verrà scelta: una piccola boutique? un negozio di parrucchiera in periferia? o magari un viaggio all’altro capo del mondo? (no, non sembra il tipo). Certo che alla sua età barattare una fetta del proprio tempo-vita in cambio di una somma cospicua deve essere una scelta da perché no? con un’alzata di spalle, masticando un chewingum. E la tipica persona senza grandi prospettive ma con tanti desideri, che di tempo ne ha proprio da vendere; tempo giovane e gagliardo, ancora allo stato brado.

Nel box numero due c’è un tizio un po’ meno comune, sui quaranta, quarantacinque, abito costoso mal portato, massiccio e piuttosto sgraziato; non degna di uno sguardo lo schermo olotelevisivo del suo box e punta invece diritto con i suoi occhi freddi il vetro unidirezionale che lo separa da me e da Svìgo, mentre fuma impassibile la sua ipnosigaretta, come a dire so che sei là, stronzo, e che mi stai guardando; sbrigati a scegliere e va’ all’inferno. Sorrido. Mi viene da pensare che sarebbe il tipo perfetto di killer per uno dei vecchi bianco/nero girati cent’anni fa. Probabile che voglia fare un uso non esattamente legale della sua ricompensa. Credo che sceglierò lui; il tempo di un uomo così deve valere almeno il doppio: mi suggerisce l’idea di una vita da braccato, di uno che sente il soffio della morte sul collo, e che perciò ha voglia di bere ogni goccia del tempo buono che gli resta, di assaporare ogni ora con feroce voluttà, di non lasciare niente nel piatto. Sì, penso proprio che comprerò un anno del suo psico-tempo e che sarà un buon acquisto: una parentesi di un anno-vita soggettivo dal gusto forte, di quelli che puoi riempire con qualsiasi dannata cosa ti vada di fare (e io qualcosa ce l’ho, eccome), sicuro che non ci saranno cadute di tensione.

Ho quasi deciso, ormai, ma prima getto un’occhiata al terzo box, perché il vero intenditore non trascura mai alcuna possibilità che gli venga offerta in un time exchange, ben sapendo che non potrà tornarci tanto presto ad acquistare un’altra porzione di tempo-vita. Una coppia di mezza età aspetta con aria rassegnata, trastullandosi con i tridimagazine e seguendo svogliatamente i pubblishow che scorrono sulle pareti. Non sembrano affatto bisognosi di soldi e non hanno certo l’età di chi ha deciso di avviare un’attività commerciale o professionale.

– Genitori – risponde alla mia muta domanda Svigo, con un sorriso di ipocrita commiserazione. – Genitori rincretiniti dalla morte del figlio ventenne; figlio unico, ragazzo brillante, futuro promettente. Mi hanno fatto una
testa così. E’ andato a schiantarsi con il levocar nuovo di zecca contro un pilone della sopraelevata; al solito: non aveva inserito il pilota automatico e forse aveva anche sniffato un po’ di wizax. Così niente futuro promettente eccetera. Adesso i suoi vivono solo per ricordano a se stessi e a quelli che l’hanno conosciuto. Vogliono costruirgli un cybersol, pensa un po’, e naturalmente non ci sono soldi che gli bastino; hanno già venduto quattro unità tempo e continuano a tornare.

Fischio mentalmente e faccio una smorfia come per dire cacchi loro. Sfido che abbiano deciso di venire al time exchange: il cybersol è la più costosa e diabolica invenzione che le imprese di pompe funebri abbiano partorito per spremere i congiunti inconsolabili; anche se a me ha sempre fatto rabbrividire l’idea di avere una copia olografica ultrarealistica del caro estinto, da guardar vivere in quella specie di mausoleo elettronico, e con cui poter interagire. No, è un’idea da disperati, non farebbe mai per me. Quando uno è andato è andato, chiuso. Il  resto è follia.
Però la storia di quei due mi fa riflettere. Chissà come dev’essere il tempo dal loro punto di vista: ogni minuto della vita del loro ragazzo, analizzato rivisto commentato assaporato in un masochistico rito senza fine; tutte le azioni del vivere quotidiano con una persona cara, che ci sembrano banali, devono assumere ben altro significato se le guardiamo con la consapevolezza di ciò che accadrà dopo. Sì, certo, comprare una fetta del loro tempo, come ormai essi lo vivono, vuol dire acquistare una materia
prima molto rara, più densa”.
– Ho deciso – dico a Svigo – compro due anni della coppia anziana: non posso permettermi unità tempo più fresche.
Figuriamoci se Svigo si lascia abbindolare da me.
– Sei il solito raffinato buontempone – sorride velenoso – Sai benissimo di aver scelto la merce più pregiata e più costosa.
– Ma sì, avanti, facciamo presto. – Fingo rassegnazione. – tanto con voi mercanti non si può discutere. – E gli consegno la mia carta di credito mentre ci dirigiamo verso la sala del cronoscambiatore. Poco dopo ci raggiunge la coppia. Da vicino sembrano più vecchi; un cenno del capo e non c’è niente da dire, non ci vedremo più: loro se ne andranno, ciascuno con un anno in meno da vivere e il loro sogno macabro di risuscitare un ragazzo sventato; io con il mio psico-tempo nuovo di zecca, da spendere con Miriam. Che altro potrei fare? Da quando Eisa se ne è andata per sempre non vivo più bene con me stesso. Non sono tipo da erigerle un cybersol neanche se potessi permettermelo. Miriam mi è piovuta tra le braccia al momento giusto. Non durerà, è ovvio: ha vent’anni meno di me e altre idee per la testa. Ma vivaddio un mese, due mesi per me saranno due anni pieni di lei, con il tempo comprato E poi? Poi si vedrà.
L’importante, per il tempo che resta, è strisciare piano, ad occhi chiusi, senza farsi troppo male, nel tunnel che porta dall’altra parte.

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