di Antonio Musotto
Il fenomeno aveva assunto proporzioni incontrollabili, non passava giorno che qualcuno non si presentasse alle porte dei carceri, pentito e contrito, offrendo i polsi alle manette e recando con sé una dettagliata confessione autografa.
Il governo fu costretto ad assumere alcune decine di giudici per far fronte alle richieste di rito abbreviato a cui gli ormai ex malavitosi chiedevano con insistenza e spirito di collaborazione di essere sottoposti.
Nel breve volgere di alcuni mesi le patrie galere si erano riempite di uomini e donne desiderosi di espiare con dolore e sofferenza i loro gravi peccati, e l’amministrazione carceraria fu costretta a requisire alcuni grandi alberghi per l’accoglienza di questi nuovi detenuti.
Tutto era successo dopo che, in pieno raptus santifico, don Carmine Mozzarella, boss indiscusso della camorra campana, si era affacciato al balcone del suo bunker, a Forcella, ed aveva iniziato a arringare la folla con una interminabile omelia sul valore della espiazione del peccato.
Dopo, era sceso in strada, vestito di stracci, ed aveva personalmente chiamato la Polizia con il proprio cellulare dai tasti in vero diamante, facendosi platealmente arrestare sulla pubblica via.
Da Poggioreale, aveva continuato a salmodiare di pace e di onestà, tanto che il direttore del carcere, un ex seminarista, aveva pensato bene di registrare le omelie di don Carmine, e di consentire che alcune emittenti locali le trasmettessero sul territorio.
L’effetto era stato clamoroso, dopo poche settimane si poteva passeggiare liberamente intorno alla stazione di Napoli con indosso il tesoro della Madonna di Pompei, certi che nessuno si sarebbe avvicinato per tentare di rubarlo.
Le donne dei camorristi arrestati, scosse dalla faccenda, e senza uomini da accudire, chiesero alla Curia di essere impiegate in opere di beneficenza, cosicché in città scomparirono pure i barboni ed i bambini che chiedevano l’elemosina ai semafori.
Nel frattempo il fenomeno subì una improvvisa accelerazione, dilatandosi a macchia d’olio su tutto il territorio nazionale, e la notte le città avevano lo stesso livello di sicurezza del caveau di una banca, semplicemente non succedeva niente.
Del fatto ne restarono rattristati i venditori di armi, i produttori di casseforti, gli installatori di allarmi antifurto, i ricettatori, i metronotte.
Veramente non tutti i metronotte, molti di loro si riciclarono in buttadentro delle discoteche; buttadentro perché non era più necessario buttare fuori qualcuno, e il massimo del caos che poteva succedere era quando qualche albanese un po’ brillo ed arrapato tentava di allungare le zampe sotto la minigonna di procaci signorine locali, e i baldi fidanzati ed anche chi non c’entrava niente si davano da fare a far vedere a tutti i progressi che avevano fatto in palestra.
Nel breve arco di tempo di sei mesi gli atti criminali violenti scesero al minimo storico, ad un livello ancora inferiore del famoso furto della mela dal giardino dell’Eden, e il personale della polizia e dei carabinieri fu incentivato a prepensionarsi o a cambiare amministrazione; infatti era riesploso il problema delle scuole strapiene, chi aveva dodici figli non ne lasciava più nessuno ad andare in giro per racimolare la giornata, lo mandava a scuola e basta, e spesso andavano anche bene.
Passò un anno di pace, c’era ancora qualche uxoricidio a movimentare le pacifiche giornate dei questurini, ma era veramente poca cosa, e venne avviato un processo di riduzione degli organici, e di sfoltimento delle carriere direttive.
Improvvisamente, all’approssimarsi delle feste natalizie, le cronache dei giornali milanesi si riempirono delle gesta di un gruppo di rapinatori-alcune volte tre, altre quattro- travestiti da babbo natale che prendevano di mira le casse dei supermercati ed anche qualche ufficio postale.
Un brivido freddo corse lungo le schiene degli onesti cittadini, probabilmente per molti era causato dalla imperante moda del jeans a vita bassa, che lasciava scoperti glutei ed ombelichi, e fu deciso il richiamo in servizio di alcune decine di agenti, ma fu inutile, la banda di babbo natale continuò a colpire, sembrava sapessero dove andare per evitare il giro delle poche volanti che pattugliavano il territorio.
Nel corso di un assalto ad una svendita di pelouches in Galleria, si sovrappose la banda di babbo natale, che tentò di rapinare mamme e bambini dei loro pingui portamonete.
Non avevano fatto bene i loro calcoli, e così i tre malfattori vennero sopraffatti dai pargoli imbufaliti, che temevano di non potere acquistare il trudino in svendita, e ridotti all’impotenza, dato anche il fatto che le pistole-giocattolo che avevano sfoderato nel negozio erano munite di regolare tappo rosso.
Intervennero dei carabinieri in pensione, che perquisirono i corpulenti criminali, e grande fu la sorpresa quando si accorsero che si trattava del questore, del vice-capo della polizia cittadina, e di un commissario di quelli tipo montalbano, uno molto attivo la cui scalata ai vertici della sicurezza nazionale era stata interrotta dalla mancanza di delitti.
“avevo paura di perdere il posto” ebbe a dichiarare il questore, prima di essere tradotto in reclusione.
Se la cavarono con poco, il giudice fu clemente perchè la tentata rapina era stata consumata senza armi e senza violenza, e vennero avviati alla rieducazione presso una scuola per cani da valanga, l’unico inconveniente era che si trattava di un lavoro un po’ umido e freddo, a stare sotto la neve in attesa che il cane li ritrovasse…