di Antonio Musotto
Lo scirocco spettina il mare sconzando le onde all’incontrario, e la spuma si scippa dalle creste.
Una di quelle giornate da starsene chiusi a casa, lontani dai vetri arroventati delle finestre, a cercare refrigerio sotto il getto gelido della doccia, e non surriscaldare il cervello con pensieri e gesti inopportuni.
Fuori, fetu di uovo marcio, e naschi e bocca subito secche, e il sapore della sabbia mandata da Gheddafi; fuori il ventazzo arrimina i capelli dei passanti, spettina macari le idee, e impiccica le gonne alle cosce bollite delle donne che camminano a fatica, tenendosi una mano sulla pettorina, che c’è pericolo che il vento gliela strappi, la cammisa, e si possano esporre centimetri quadrati di minne a sguardi curvilinei di maschi estranei, affacciati davanti le putie e i bar, pronti a toccarsi il pacco e sussurrare frasi oscene a mezza voce, con espressione porcina stampata sulla faccia deformata dall’odore agro del sesso immaginato.
I surci nascosti a fare la sauna nelle fogne, che se escono è peggio, stonati dal caldo come sono si fanno investire dalle berline sulla via, ne uscì uno ora da un gettatoio vicino al marciapiedi, pare ubriaco, passa tra alcuni picciriddi che si gridano ammazzalu ammazzalu, una scarpa si stampa a missile sulla groppa del surci, che per scappare si butta tra le macchine, una frena, una no e lo scafazza, le budella si sparpagliano sull’asfalto, e tempo niente sono cotte come la stigghiola dell’ambulante, fuma la carogna.
Abballano i sacchetti vacanti della munnizza in aria, parono uccelli neri di malaugurio, pare il festival delle buste di plastica, ma quante ce ne sono abbandonate che ora il vento anima e danzano in aria, e cartacce e fogli della gazzetta, in un osceno mulinello.
E’ già il terzo giorno di forno crematorio naturale e gratuito, come si travagghia cu stu cavudu mi dice l’operatore ecologico interinale, avvolto nella divisa di plastica rossa fosforescente, che pare un panino imbottito nel cellofan, e s’appoggia alla carretta coi bidoni e le scope, cercando solidarietà , ma quando cazzo hai mai lavorato gli dico, e quello ride, che ci travagghio a fare oggi, la munnizza pare viva, non si fa pigliare da me, dice lui
Perché, gli altri giorni che pareva morta a munzieddi ti faceva pena a scognarla dal marciapiedi e metterla nel sacco nero ci rispondo, tanto lo so che netturbino fa rima con lagnuso, e lagnuso con garruso e mangiapane a tradimento e che ti parlo a fare, che poi sudo pure io.
Entro nel bar, ma perché sono sceso in strada invece di restarmene sotto la doccia, e chiedo a quel cornuto del barrista: un tè freddo. Quello piglia una buatta preconfezionata e sta per stapparla: ma che minchia mi vuoi fare bere ci dico io, solo questo abbiamo, dice, non c’è tempo per fare quello che facevo gli altri anni, lo talio nella facci e gli dico, questa merda globalizzata te la bevi tu. Il barrista toglie la lattina dal bancone e mi risponde, se non ci piace la marca ora ce la cambio.