di Paola Lisimberti
Pubblichiamo, come promesso, il racconto vincitore della XIII edizione del Concorso Letterario Nazionale Racconti di Primavera. L’autrice è Paola Lisimberti, da Ostuni. Buona Lettura. (ma.mi.)
– Sarebbe bello poter ricordare momenti migliori o peggiori di questo. Tutti quelli che mi tornano alla mente sono poco più che insignificanti. Se la mia età non fosse un peso insopportabile potrei anche affermare che ci si sente bene all’approssimarsi degli anta, gli ineluttabili e inesorabili, anche se non si è combinato un cazzo in tutta la propria vita. Sistemo tutto qui e me ne sto in un angolo ad aspettare.
– Hai quarant’anni?
– No, in realtà ne ho trentasette.
…ma con chi parlo?
– Perché dici che non hai combinato niente?
– Mi sembra di sentire mio padre…L’Università non l’ho finita. E sì che avevo anche trovato il modo di passare quell’esame che non riuscivo mai a superare.
– Cosa studiavi?
– E cosa dovevo studiare? Giurisprudenza, naturalmente.
– Naturalmente?
– Al mio paese, quando non sai proprio cos’altro fare, ti metti a studiare Giurisprudenza. Tutte le mie compagne erano iscritte. Alle prime lezioni di Privato eravamo migliaia. Ho resistito una settimana: sveglia alle cinque, coda sui gradini, poi ho deciso di studiare per conto mio. Ma gli anni passano, ti rendi conto dello sbaglio che hai fatto, vedi gli altri che vanno avanti. I parenti a Pasqua ti chiedono se hai dato l’esame, se commerciale è difficile come dicono. Poi c’è sempre una tua coetanea, figlia di un fratello della cognata di non so chi, che si è laureata in corso, ha conosciuto il figlio di un notaio e si è sposata. Hanno fatto il viaggio di nozze in America, tiene a sottolineare tua madre con un certo disprezzo che diventa sgomento. E ti accorgi che la sua commiserazione si acumina via via, di festività in festività. A Natale è diventata biasimo, per il compleanno sfiducia.
– Parlami della tua famiglia.
– Cosa vuoi sapere? Di mio fratello ragioniere? Di mio padre che è morto d’agosto tossendo senza riuscire a sputare quella polvere che aveva dentro…Ci dovevamo industrializzare, dovevamo star bene, tutti col posto sicuro, non dovevamo aver nulla da invidiare a nessuno. Mio padre comprava e comprava, televisore a colori, videoregistratore, stereo, un divano per il salotto…tutto a rate, tutto con le finanziarie. Poi la malattia…e la colpa era mia che non avevo ancora trovato lavoro. Per pagare il funerale e per comprare il loculo mamma si è fatta prestare i soldi. Quando si è presentata in banca vestita di nero stinto, senza trucco, senza gioielli, brutta, nessuno le ha dato retta. Certi signori che conosco io si beccano prestiti da far paura solo per acquistare una macchina che poi si fa vecchia, arrugginisce. Quali garanzie può dare, signora? Qualcuno può firmare per lei? E poi quelle nauseanti ed estenuanti ore di attesa nel “salottino fidi”, inutili perché si vedeva che eravamo poveri e non conoscevamo nessuno. Tu non ti fai gli amici giusti… mia era la responsabilità anche dei codici di comportamento bancario. Fu quell’estate che mia madre cominciò a dare segni di squilibrio. Spostava gli oggetti con una perizia maniacale. Ogni cosa che suscitasse per lei un minimo di interesse trovava una nuova inusuale collocazione. Gli occhiali in frigorifero, le chiavi di casa sotto il cuscino… Si addormentava stretta alla borsa del ghiaccio, chiamava mio padre. Ci morivo dietro e mentre cercavo rifugio da quelle urla tutto quello che riuscii a trovare fu un maschio invertebrato che si cannava alla grande. Non ricordo di averlo mai visto realmente in sensi. Mi raccontava tante storie fantastiche sulla sua vita. Un vero passatempo.
– Dimmi dei tuoi pensieri, i desideri…
Che domanda…
Accidenti, mi sono tagliata.
– E cosa sono i desideri? Ti annulli nell’attesa che accada qualcosa di nuovo. Poi trovi lavoro, precario, come rappresentante di yogurt, te ne vai in giro per i bar, i negozi, hai qualche soldo in tasca. Paghi il gas, la luce. Desideri desideri…
i sogni son desideri
…desidererei, se avessi cuore per desiderare, forse anche un amore totale, come quello di mio padre e mia madre.
– Dimmi dell’estintore…
– Si, l’estintore. Ho comprato un estintore. Ho terrore di tornare da sola a casa. Parcheggio la Panda dietro l’angolo e, mentre attraverso il vialetto buio, lo tengo stretto, pronto. Devo difendermi.
Si, si, ho fatto bene, se ne sentono tante…
– Ti senti in pericolo?
– Tutta la mia vita si gioca intorno a questa sensazione di precarietà dannosa. Si, mi sento sempre in pericolo. Rischio ogni giorno di perdere il lavoro e non mi sembra un’incognita trascurabile. Poi rischio di rimanere zitella, come zia Gina, che ha fatto la schiava a tutte le cognate. Mi sono sempre chiesta se qualcuno le volesse bene davvero in questa nostra spensierata famiglia. Mia madre aveva sei fratelli e due sorelle. Zia Mina, quella ricca, aveva sposato uno di Treviso e se ne erano andati in Belgio a trovare lavoro e fortuna. Me la ricordo bene quando veniva per le vacanze e faceva la gran signora con quella serie di costumi da bagno nuovi e pareo e collane. Affittavano una villetta vicino al mare e almeno una volta bisognava partecipare al grande pranzo. Un prezzo alto da pagare per i parenti poveri. Come è bello vivere in Belgio, tutta un’altra cosa, commentava zio Raffaele mentre affettava il pane. Tra le lacrime. Ora sono andati in pensione. Hanno comprato un piano terra nel paese vecchio, affogano nella puzza di pesce, ma anche loro sono pesci a marcire. Mio padre mi ha insegnato che è meglio rimanere qui, a morire di fame annusando questi scogli ogni volta che le mani ne percorrono la superficie rugosa. Gli amici, poi…come si fa a lasciare gli amici, la comitiva…ho avuto una comitiva, una volta. Si andava tutti insieme al pub, a bere birra. Dopo qualche mese di quell’allegria, nel rispetto della naturale evoluzione di ogni compagnia di maschi e femmine di provincia, sono nate le storie d’amore e la comitiva è finita. Io ero fuori dal numero, ero dispari.
– Hai mai conosciuto qualcuno che ti piacesse veramente?
Ma che vuole questo?
– Quando sei la classica bruttina non riesci mai a conoscere nessuno. Torni a casa mentre tua sorella esce con il fidanzato, l’ultimo della serie. Sono sempre stata convinta che Lori dovesse fare quello che dicevo io, ma non c’era verso di farle capire che doveva comportarsi meglio, da ragazza perbene. Non lo doveva fare nel letto di mamma.
Non lo dovevano fare nel letto di mamma…non lo dovevano fare…
C’era una bella coperta di lino bianco sul letto di mamma, e le lenzuola a punto a giorno. L’avevo aggiustato io, come ogni sera. Io tornavo e loro uscivano, e poi aggiustavo il letto.
– Ma stasera sei tornata prima.
– Non ricordo…forse…
– Sei tornata prima. Per guardare?
Per guardare, per guardarmi. Ma con chi sto parlando? Chi sei?
– Non ho fatto niente di male, ogni tanto, in quel grande specchio di fronte al letto, ho guardato. Non ho fatto niente di male. Mi credi? Mi vedi nello specchio che cattura emozioni, risate, grida? Ho pensato spesso a come deve essere entusiasmante guardare negli occhi qualcuno e parlarsi. Una volta anch’io ci ho provato…con Franco. Lori ha riso: Mica mi vuoi soffiare il fidanzato! Loro ridono sempre, li sento ancora…
– Ora devi pulire tutto, capisci?
– Perché devo pulire, mettere in ordine, sempre tutto in ordine…Ogni insignificante goccia di esistenza trascorre mettendo ordine nel disordine che gli altri hanno creato ad arte per tuo supplizio. Almeno avrebbe potuto riaggiustarlo il letto di mamma, visto che lo usava lei. E invece no, toccava sempre a me. E quell’odore…quell’odore…quante volte ho premuto le lenzuola sul volto per soffocare in quell’aroma d’amore. Franco mi piaceva. Teneva i polsi legati alle sbarre del letto. Gliel’avevo raccontato io a mia sorella, l’avevo visto fare in un film e speravo che lo facessero. Io me ne stavo lì, dietro la porta, con il mio estintore stretto…dovevo difendermi.
– Da cosa?
– Da tutto quell’amore invadente. E mentre quei due ne respiravano sfacciatamente e se ne invaghivano pienamente, io spruzzavo e battevo e stringevo e tiravo…poi a zampilli…a ondate … il sibilo asfissiante dello spray…quei corpi soffocati, martellati, fluttuavano nello specchio ormai rosso, di un bel carminio deciso. Come se con un pennello, un pittore… schizzi di rosso sottili…sbuffi…ma quegli occhi chiusi di Lori… i polsi illividiti di Franco… non se la smetteva più di tirare la spalliera del letto …non se ne voleva andare…
Ci vuole dell’acqua. Vado a prendere il secchio, lo straccio, mentre aspetto posso pulire, mettere in ordine. Come farò…sto diventando pazza come mia madre… parlare con uno specchio insanguinato che mi risponde pure…