di Elisabetta Favale
Lui: è tutto ok, posso farcela, lo sento. Niente panico, è passato un anno, le ferite si sono rimarginate, i sensi sono sopiti. Per lei. Non in generale, sarebbe un dramma a trent’anni. Ora mi chiederà come va il lavoro e io le dirò benissimo, ho quasi passato l’esame di stato, quasi, lo scritto, lei era rimasta che mi avevano bocciato quando l’ho provato a Roma, bastardi. Ricordo che ha avuto la faccia tosta di dirmi che se mi lasciava era anche perché non riuscivo a passare quel maledetto esame.
Ma pensa te che cosa bisogna sopportare, bisognava. In fin dei conti sono contento, ho sofferto si, la mia autostima è andata a farsi fottere ma meglio così, bisogna essere se stessi fino in fondo e chi non si adegua…
Certo potevo vestirmi meglio, questa camicia fa cagare e sta malissimo sotto questo cardigan, sembro mio nonno. Capirai, lei sempre trendy!
La fa facile lei. Lavora da dieci anni, è laureata da dieci anni, ha una casa sua da dieci anni, esagerata. E’ colpa mia se ha sette anni più di me? Devo tirare indietro la pancia, ho smesso di andare in palestra sinceramente perché mi stanco solo all’idea, ci andavo perché mi obbligava. Adesso però ho gli addominali sblusati. Lei sarà come sempre performante, perfetta, una Barbie col cervello. Con tutti i problemi che ha, l’anemia, l’emicrania cronica ma niente! Performante più che mai, ma come fa? La diabolicità delle femmine. La donna è abituata a soffrire, i dolori del parto e l’organizzazione della famiglia, cose di secoli, che dico, ere. Se la menano ma hanno ragione. Io per un raffreddore rimango a letto una settimana e lei, loro, con dolori mestruali lancinanti sono capaci di andare a fare rafting.
In compenso mi sono rasato la testa, ho fatto crescere la barba, barbetta, rada ma intanto c’è, ho cambiato gli occhiali, mi sono curato la couperose, non ho più quell’aria da cane randagio che ha passato la notte fuori tra i cassonetti. Così mi diceva lei quando mi si screpolava la pelle del viso. Per un compleanno un anno mi regalò una crema di Shiseido, costosissima, per curarmi. Me la spalmavo copiosamente impastando i brandelli di pelle alla barba. Che schifo. Altri tempi. Ora sono roseo come un irlandese sobrio.
Lei: allora?
Lui: che modo è di incominciare un discorso, di salutare?
Lei: antico e formale
Lui: non ci vediamo da una anno
Lei: come passa il tempo, senza di te.
Lui: sei stata tu a volermi incontrare
Lei: scherzavo, il tuo senso dell’umorismo è peggiorato
Lui: sei splendida, come sempre. Come hai fatto a farti crescere così i capelli? E’ il ferro? Stai continuando a prendere il ferro? Anemica e coi capelli lunghi, forti, sei tutta capelli.
Lei: ho fatto le extension deficiente
Lui: certo, che deficiente. Ti stanno bene, sembrano capelli veri, che fai la sera li togli e li metti sul comodino? Il tuo comodino oramai sarà un magazzino! Lenti a contatto, gioielli, occhiali, capelli.
Lei: dimentichi la protesi. Sembri un irlandese sobrio
Lui: vedi? È per questo che mi sono innamorato di te, per questo che ti ho sopportata per quattro anni, fai le mie stesse battute e il tuo cinismo rasenta la crudeltà.
Lei: non sono cinica, valorizzo ciò che ho e anche ciò che non ho
Lui: il fatto che tu non abbia un braccio non ti ha impedito di diventare quella che sei, sbatti in faccia al mondo la tua superiorità. Sempre la più intelligente, quella più avanti, che dico? Avantissimo! Fai schifo nemmeno un filo di pancia.
Lei: devi dirmi tutto: comincia da Maria poi passa a Gianni e quelli dello studio, tua sorella, i figli la tua nuova casa.
Lui: non posso, ho marte in trigono, lo sai, mi influenza negativamente potrebbero esserci delle interferenze stellari, potrei straparlare e farti crepare d’invidia
Lei: hai qualcosa di diverso
Lui: gli occhiali per esempio
Lei: la pancia per esempio
Lui: mi sono rasato i capelli
Lei: con quel maglione sembri tuo nonno
Lui: non ho più la faccia screpolata
Lei: la barba è ridicola
Lui: Gianni sta bene, Lucia ancora meglio, si sono sposati, il padre di lei gli ha permesso di vivere nella casa a Ponte Lungo, sai quella dove sta anche la sorella. Così è facile. Niente spese per i mobili, bollette divise a metà con la sorella che continua a stare lì con loro. Intimità coniugale zero ma meglio, almeno non hanno il tempo di diventare una coppia di coniugi stanchi, ma nemmeno felici. Dormono nell’ex stanza di Lucia, peccato che la sorella è nella stanza a fianco, per scopare in pace devono chiederle di uscire. Lei lo fa ma con moderazione, non ha un uomo, pochissime amiche e d’inverno fa freddo, la palestra non le piace.
Lei: che inetti. Come si fa a sposarsi a quarant’anni suonati senza uno stipendio e vivere in una casa che puzza di studente fuori sede. Odore di tonno scadente e pastina con formaggino.
Lui: Maria
Lei: già, Maria
Lui: è un periodo che sta poco bene, ha sempre le caviglie gonfie, i capillari sui polpacci sembrano i condotti del metano, povera, con tutto il lavoro che fa
Lei: non è prevista una indennità da vene varicose nel suo contratto?
Lui: per il resto ok, ora ha due shampiste che le danno una mano, forse per l’anno nuovo mette anche una cabina per il solarium
Lei: un’imprenditrice nata. La cosa che mi fa impazzire è… come hai fatto a stare quattro anni con me? Cosa ho a che fare io con la parrucchiera di provincia? Che cosa abbiamo in comune? Non me lo dire, saresti capace di cimentarti in una spiegazione che mi traghetterebbe sull’orlo di una crisi di nervi
Lui: niente. Con lei non c’è competizione. Solo sani sentimenti. Ménage familiare classico, da manuale, sesso semplice e genuino, posizioni tradizionali. Le piace stare sotto.
Lei: piace anche a me
Lui: bugiarda, nel novanta per cento dei casi eri tu che stavi sopra.
Lei: ti eccitava
Lui: di più a te e poi non mi hai mai permesso di prenderti da dietro, non ho mica scordato tutto il panegirico psicologico – la sfiducia atavica della donna – nei confronti dell’uomo – che ti era stato trasmesso – da tua madre e non ti consentiva – di sottometterti fisicamente completamente a un uomo.
Lei: lo sapevo che l’avresti buttata sul sesso
Lui: non avevi mai avuto un orgasmo prima di me
Lei: ci ho messo tre mesi per averne uno, con te
Lui: frigida
Lei: pervertito
Lui: puttana virtuale
Lei: vaffanculo
Lui: mia sorella ha avuta una bambina, Shila
Lei: volgare, come ha potuto chiamarla così?
Lui: lo trova tantrico
Lei: borgatara ripulita
Lui: è felice, lui è stato assunto a tempo indeterminato come comis di sala allo Sheraton di Parco de Medici, 1300 euro netti in busta, pasti gratis, indennità, insomma questa estate ci scappa anche la vacanza in un villaggio in Puglia con mini club
Lei: io sto bene, ho avuto una promozione, un aumento di stipendio
Lui: questo posto è completamente diverso, Pistoia è diversa
Lei: abbiamo avuto i finanziamenti dalla Comunità europea per ristrutturarlo, per fare dei corsi di marketing e comunicazione. Ci sono state le comunali, altro sindaco, altri assessori, hanno stravolto tutti i sensi delle strade, sai, la città si guarda da altri punti di vista. Prima per arrivare qui in associazione giravi dopo via Monti a destra, adesso passi da via Giolitti, è un metamessaggio! Prima avevamo a che fare con una strada austera, degna del poeta pontificio e ora con un’altra che ha il nome dell’uomo che ci ha sparati verso una società composita e pluralista. Figata no?
Lui: ma che cazzo dici? Ci sono sempre i volontari che fanno il servizio civile? Dio. La prima volta che ti ho vista mi hai stordito. Avevi quella maglia di cotone aderente e non portavi il reggiseno, non ne hai bisogno, sei l’unica donna con la prima di reggiseno che mi fa arrapare a guardarle le tette. Ho impiegato tre giorni ad accorgermi del tuo braccio. Della tua bocca no, mi ricordavi il personaggio di quel manga, come si chiamava? Quello che comprava sempre Pierluigi, Magic Girls o una cosa simile, occhioni e bocca carnosa di rosa… capita la battuta?
Lei: adesso sono io che mi chiedo come ho fatto a stare con te
Lui: non c’è nessuno
Lei: sono le 10 di sera
Lui: neppure un volontario
Lei: di venerdì sera
Lui comincia a fantasticare, forse può ancora sedurla, si perde nei pensieri, non ascolta più una sola parola. Vuole baciarla. Non ha più avuto modo di fare l’amore con una come lei. Probabilmente era stata con lui solo perché senza un braccio pensava di non poter avere altro, eri lì che la sua sicurezza faceva acqua, aveva accettato il compromesso di stare con uno sfigato come lui.
Lui (pensa): cazzo se è perfetta, non una ruga, non un filo di grasso, un buco di cellulite. Cazzo se mi piace. Quasi quasi ci provo, magari è da un po’ che non lo fa e decide di starci. Ma ce l’ha un uomo? Un avvocato col collettone e le cravatte regimental e l’abbonamento a Maxim e l’addome scolpito.
Lei: si può sapere a che pensi? Mi stai ascoltando? La casa?
Lui: tutto bene, tutto Ikea, tutto cheap. Perché ci siamo lasciati?
Lei: non lo so
Lui: è per gli amici, quelli della comitiva dell’Eur. Ancora me lo chiedono. Sembravamo perfetti nella nostra disparità emotiva, caratteriale.
Lei: tu eri un fallito, sei.
Lui: e tu una stronza
Lei: no, pretendevo un progetto
Lui: e io sarei antico. Posso ricordarti che per uscire con te sono dovuto venire a casa da tuo padre per fare la mia dichiarazione d’intenti? A ventisei anni? Mi ha estorto di tutto con la scusa del tuo non braccio e io ho promesso, mi sono fatto inculare: sarò, farò. No. Niente futuro: sono, faccio. Sai quanto può essere scioccante passare da un tempo ipotetico ad uno che dispensa certezze? Inadeguato. Per quattro anni sono stato quello che preparava la tesi e viveva di precarietà, l’inoccupato che è peggio del disoccupato. Dio.
Lei: tutto maledettamente vero.
Lei comincia a fantasticare. Quell’aria da cane uscito sconfitto da un combattimento la intrigava. Perversa. Era obiettivamente brutto. Ma a un certo punto s’era detta che non aveva mai avuto una storia più lunga di sei mesi e lui invece sembrava assicurargliene più. Vulnerabile. Voglioso. E sapeva bene di piacergli. Tutto sommato non se la cavava male a letto, aveva sempre voglia, la naturalezza con cui le stringeva il moncone del braccio quando godeva la inteneriva. Per questo lo faceva. Ma averlo in casa no. Troppo.
Lui: adesso sei tu che non ascolti
Lei: ti va di scoparmi? In nome dei vecchi tempi?
Lui: si, a dire il vero ci speravo.
Lui (pensa rivestendosi): ma dove la trovo un’altra così? Mai, più. Avrei dovuto trattenerla. Adesso mi tocca rituffarmi nella puzza degli acidi per permanente. Oddio che dico. Maria, la sua dolcezza, non mi ha mai colpevolizzato, è orgogliosa della mia condizione di praticante quasi architetto è orgogliosa lei. Non ho le palle per una che ti sfida già di prima mattina con i frullati di proteine, un duello a colpi di aminoacidi e creatina. No. Decisamente meglio latte e biscotti e il ciambellone fatto al lunedì mattina.
Lei: (pensa uscendo): ho fatto bene a rivederlo. Ora posso concentrarmi su qualcosa di serio. Domani vado a ricostruirmi le unghie dei piedi. Pari.