di Antonio Musotto
Neanche faccio trecentometri in via Oreto che le macchine si impastano, il traffico è bloccato, sale il fumo dalla strada stretta, alcuni stronzi si attaccano al clacson ma che cazzo ci suoni, non lo vedi che siamo tutti fermi? gli dico uscendo la mano dal finestrino; la buttana con il muso pittato nella centoventisette allato alla mia mi guarda con un occhio solo, ché l’altro è pieno di fumo, si sta sucanno una sigaretta, creitinotestadiminchia , dice senza levarsi la marlboro dalla bocca, e poi si gira.
Allora mi attacco al clacson pure io cornuti, cornuti, fateci passare grido con la testa fuori dal tettuccio di tela della cinquecento.
E’ tutto fermo, la macchina è invasa dal nerofumo dell’autobus numero 102 che sgassa davanti a me, e dall’odore appiccicoso di fritto del panellaro, che se ne fotte del traffico e continua a buttare panelle e crocchè nell’olio bollente.
Non ne posso più di restare nell’abitacolo, che pare una camera a gas, e allora scendo, tanto anche altri che erano nelle macchine sono scesi; uno si legge il giornale, uno litiga con la moglie, bella grassa e sudata, uno che conosco mi dice amunì totò, andiamo a vedere che succede lassotto…le senti le voci?.
Le sento le voci, si sente gridare e rumore di lanna sbattuta, e sirene che vengono dalla direzione opposta; man mano che ci avviciniamo la gente è tutta affacciata nei balconi e davanti alle putìe, talìano nella direzione del bordello ma non si vede ancora niente.
Piero cammina ammuttanno quelli che ci capitano vicini, lui ha una panza da operaio, di quelli che alla fine della giornata di manovale vanno alla taverna e si bevono la giornata tutta a birra e vino schifiato, solo che Piero non è operaio, si fotte la pensione delle zie paralitiche che ha a casa, e se la beve, tanto le zie devono crepare, che le cura a fare, dice.
Altri si sono rassegnato, hanno spento il motore della macchina ed sono scesi pure loro, ma non si allontanano, macari qualcuno vede lo sportello aperto e si ammucca l’autoradio, la via oreto è piena di scassapagghiari, appena ti volti te la fanno.
Ora il rumore di lanna sbattuta è forte, e si sentono le voci che gridano “lavoro, lavoro, lavoro”, andateci a lavorare penso io,
e si vedono cassonetti abbuccati e tutta la munnizza sparpagghiata per terra, e qualche cornuto col giornale e l’accendino in mano che sta cercando di bruciarli, i cassonetti.
Venti venticinque persone, alcuni sono seduti per terra, altri sui cofani delle macchine e fanno finta di non accorgersene che quelli dentro suonano il clacson come i pazzi, e i cassonetti messi di traverso, già da uno esce fumo, gli sbirri in tenuta antisommossa sembrano una mandria di bufali che scalcia e arretra, uno che forse è un pezzo grosso parla nel telefonino tenendosi la mano davanti alla bocca, e fa avanti e indietro tra la linea dei celerini e la diga di plastica verde improvvisata dagli scioperanti.
Non si passa, non si sposta nessuno, i commercianti hanno abbassato le saracinesche, si scantano che a momenti succede il vivamaria, alcune casalinghe arricampano le lenzuola stese, ora che il fumo fituso della munnizza e della plastica sale, e gridano pure loro ma c’è troppo bordello e non si capisce niente.
Lo sbirro in borghese smette di parlare al cellulare, se lo infila in tasca, si volta e dice qualcosa ad un celerino con manganello e megafono nelle mani, quello cala la testa e comincia a gridare nel megafono, i dimostranti sgomberino pacificamente la pubblica via, altrimenti le forze dell’ordine saranno costrette ad usare la forza, e Piero dice Totò amuninni ora a qualcuno ci rompono le corna, vola una bottiglia che fuma, manco il tempo di capire che succede che uno sbirro piglia fuoco, e due compagni lo aiutano mentre quello cade a terra, coprendolo con gli schermi di plexiglas, manco il tempo di capire se lo sbirro s’abbruciò che parte la carica dei celerini, un catafottersi di legnate e di sprangate, manco il tempo di pensare scappo che mentre sto scappando appresso a Piero che si era defilato prima sento una legnata in testa e diventa tutto buio, e forse faccio in tempo a gridare ancora in mezzo al gran casino, tutti cornuti siete.
Antonio Musotto. Palermo, 25 settembre 2005.