Breve

di Fabrizio Pizzuto

Non è proprio un idea, è più un suono… non direi un suono indistinto, è un suono molto chiaro, un suono disturbato, noise, ma sensato… ecco, direi che è una serie di suoni, c’è una coerenza, ma sulla distanza.

Oppure potrebbe essere un’ossessione, non so, come essere sempre in bolletta, o ipocondriaci, o depressi, qualcosa di invisibile ma appiccicaticcio, apparentemente indistruttibile, un eterno presente di suoni.

Il rumore secco e ripetitivo dei passi, stivali da donna, pavimento in marmo, l’immaginario si ferma alle ginocchia, mi sfugge il motivo, non lo ritengo importante, era solo un esempio.

C’è una notte fresca, rilassante, la brezza ci accarezza senza insistere, è meno del solletico ai piedi, è più di una carezza ai capelli… sono cresciuto qui, in aperta Sicilia, nel centro del centro…

Alle nostre spalle, su questo terrazzino, gli alberi di ulivi… non è ancora periodo… l’aperta campagna, rumori sottili come cicale, innocenti divagazioni, davanti c’è la strada, nessuna macchina, non so che ora sia, ho uno strappo ai jeans neri, proprio lì.

Abbiamo delle sedie, un tavolino, qualche birra, stiamo giocando, tressette, un immagine comune, niente di speciale, narrabile.

Seguo una linea, questa traccia di cui sto parlando, c’entra anche il gioco, ma nei suoi sottolivelli, nella sua capacità di essere un piano costruito ad armi sorteggiate, non necessariamente ad armi pari, seguo questo suono, non proprio un idea, questa capacità dell’essere… ho messo del veleno in uno dei bicchieri, forse nel mio, insensato, gratuito, casuale, il delitto perfetto?

Farà effetto tra due ore, alla fine della partita, due vincitori, due perdenti, un morto, un assassino, un solutore del caso, spero…

Sarà indolore, forse sarò io, non ho mai amato troppo, non sarà una grande perdita…

“Coppe di mano non si gioca mai” “Io busso tre punti” “Ma insomma te la sei fatta o no?” “Stappa un’altra birra!”

Già, e se fossi proprio io? Avrebbe senso, sì che ne avrebbe, un piano ben architettato ha bisogno di certezze, la vittima dovrà ascoltare la confessione del carnefice prima di farla finita, oppure essere il carnefice, costruire la tua fine, percepire le ultime ore, ma senza mai esserne sicuri, preparare lo show e non gustarlo, la suprema vittoria dell’ego di un’artista, sacrificarsi al finale, le cicale, un suono, la brezza, gli applausi, dissolvenza.
“Tocca a te!” “Cade il re” “L’asso trema” “Tornaci se hai coraggio” “Sei un bluff” “Prova”

I passi sono dall’interno della casa, sono più morbidi, ciabatta sostituisce stivale, potrei affermarlo… domani dovrò comprare dei chiodi, mi hanno regalato una foto di me con lo sguardo perso nel vuoto, vorrei appenderla… il vuoto, perso nel vuoto, mi ci soffermo, il pensiero, il contenitore che va nel vuoto, che si riempie di se, o di divagazioni, già, è così, è proprio così…

Voglio proprio gustarmi la serata, il lirismo, lirismo deriva dalla lira, lo strumento che faceva da sfondo mentre il poeta parlava dei fatti suoi, della sua emozione, lirismo ora è passato sull’emozione personale, dal suono al testo, un po’ come la verde milonga di Paolo Conte, un testo sul suono, il lirismo, dicevo, la brezza, le cicale, o chi per loro, il gioco.

“Hai sbagliato” “Non ricordavo il due” “Stai attento, cazzo, stiamo già dietro”

La luce dei lampioni è gialla, a volte mi sembra di vedere la realtà che mi scivola via, l’orlo del caos, la strada che finisce sotto il marciapiede, perdo le linee, perdo le linee e i contorni, un quadro futurista semovente, se una macchina attraversa la strada, poi… le macchine, sì, le macchine, sapete perché hanno il motore davanti? a causa dell’immaginario, dell’abitudine, di un’ancestralità di breve data, perché quello è il posto dei cavalli nella carrozza, davanti per spingere, ma nel caso del motore sarebbe uguale, è solo una stupida abitudine.

“Chi piglia si ripiglia” “Si, ma chi esce riesce” “Che c’entra?” “La carta gira, poi vedi”

Anche adesso, i ragazzi mi sembrano moltiplicarsi, sfuggirmi, succede solo se voglio che succeda, non so come dirla, e non so come essere creduto, succede solo se guardo davvero bene, la realtà è instabile ad uno sguardo davvero attento, il tavolo balza sul naso e il naso resta sotto il tavolo, ma anche sopra, catturare l’impressionismo, diceva lui, ma come? come? Come senza afferrare la follia?

“Te l’ ho detto che il primo era ai piccoli” “Ridi, ridi, che prima o poi torna per me”

La mia birra è più amara, lo so, l’ ho capito dall’inizio, non volevo ammetterlo, sono come Truman Capote su un testo di Neil Simon, ma meno cosciente, meno scrupoloso, casuale, la variante del fato, sto per essere giustiziato dal mio senso estetico, mi sta bene, almeno posso assaporare l’ultimo squarcio di mezzaluna in questo scenario, almeno io posso… che la realtà mi scivoli di sotto, sono riuscito a tenere il senso delle parole, mi è sufficiente, me lo farò bastare, che l’immagine vada via, vincerò questa partita perché ho preso buone carte, e procederò fino alla dissolvenza, fino a quello che merito.

“Tocca a te” “Tre punti a chi toglie questo” “Napoletana d’oro” “bella per te”

Ossessione è una ripetizione, una ripetizione ripiena di divagazioni, me lo diceva un mio amico, ossessione è un detournement ripetuto e ripetitivo, bella per te, dice..

Bella per me!

Il mio sacrificio varrà pure una notte di mezza luna sul terrazzino di casa mia, la familiarità del mio destino, niente esiliati per una volta in questa storia, bella per me…

Ho quasi perso il naso del mio compagno, i segnali segreti per battere quei maledetti, mi sfugge qualcosa, non afferro qualcosa, i colori a volte mi sembra che non stiano nel loro contorno, è la prima volta, di solito vanno via solo pezzi corpo nello spazio, sono un predestinato della percezione sensoriale, che ci faccio qui, nel mio guscio alieno, a casa mia?…

“Tocca a te!” Ho troppe carte in mano, non le conto più tutte, cos’è già uscito ditemi, non si parla, è bella per me, è bella per me…

…per me! Ecco si, certo, per me…

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