di Michele Rocchetta
Nebbia fitta; di quella nebbia che fai fatica a vedere la punta delle scarpe, che fai fatica a capire esattamente dove ti trovi. Di quella nebbia che bagna ogni cosa come pioggia battente, che entra anche negli interstizi più sottili, che intride i tessuti e il legno, rendendoli fradici.
Una nebbia della madonna, insomma.
“Non si vede una minchia, stasera. E che minchia ci stiamo a fare qua fuori, stasera, se non si vede una minchia?”, Vincenzo Perrone sbuffò sonoramente, facendo fatica a distinguere il proprio fiato nel nebbione. “Quanti gradi abbiamo?”
Il Primo aviere Marco Pralomo osservò il termometro attaccato alla garitta, “Meno cinque.”
“Minchia!”
Pralomo sbuffò, “Sempre con ‘sta minchia. Perrone, alla lunga rompi i zanetti.”
“Pra, non te la prendere : è un intercalare. Cosa sono i zanetti?”
“Sono i maroni, Perrone, le palle…” si aggiustò il mitra a tracolla e si strinse nella giacca termica, “Facciamo un giro?”
“Massì, così ci scaldiamo un po’, che ‘sta nebbia della mia m… sì, insomma, sono tutto intirizzito.”
“Sala controllo da Scatter.” Pralomo attivò la radio.
“Qui sala controllo, avanti Scatter!” La voce all’auricolare gli accarezzò i timpani come un cotton fiock di carta abrasiva.
“La ronda parte per un giro di perlustrazione lungo il perimetro.” Annunciò.
“OK! Chiudo.” Un fruscio e la sala controllo interruppe la comunicazione.
“Da dove cominciamo?” Domandò Perrone.
“Dalla recinzione. Giriamo attorno alle antenne, controlliamo gli accessi al bunker, visitiamo i piantoni e poi stiamo una mezz’ora davanti agli sfiati di aria calda dei generatori. Così rientriamo in temperatura.”
I due militari si mossero nell’erba alta che, carica di brina, gli lucidava gli anfibi.
“Te ce l’hai la Ministeriale, per Capodanno?” Iniziò Pralomo.
“Mah, il colonnello mi aveva detto che me la faceva avere per Natale, però sono qui.”
“Mi sa che me e te siamo i più sfigati del corso. Feste in base; mo soccia che sfiga.”
I lampioni, con le loro luci giallognole, si intravedevano a malapena lungo la recinzione, alta, sormontata da un groviglio di filo spinato.
“A te và anche bene, con un paio d’ore di treno sei a casa,” riprese Perrone, “ma io devo arrivare a Cosenza, e lì prendere la corriera. Se non mi danno almeno cinque giorni di licenza tutti assieme, non vale la pena di partire; che minchia faccio? Scendo, carico il formaggio e torno sul treno?”
“C’hai ragione; di mo su, ma te, non avevi una base più vicina a casa?”
“Sì, solo che dovevano avere il tutto esaurito.” Il ragazzo di Cosenza aumentò il tono della voce e assunse un aria solenne, “Perrone Vincenzo, la Patria ha bisogno di te! Vai a fare la guardia a due antenne di merda, in quella pianura del cavolo. E che m…”
Nel buio, seguendo la rete e la tenue indicazione delle luci del perimetro, la ronda riuscì a completare il primo giro e la visita ai piantoni.
“Senti, già che ci siamo, andiamo a controllare l’antenna trasmittente, in fondo al viale.” Propose Pralomo.
“Sei tu il caporonda, facciamo come ti pare.”
Si avviarono lungo un sentiero in terra battuta, che nella notte invernale era diventato un mare di fango ghiacciato. I due soldati si tenevano ai lati del percorso, sull’erba, per non sporcare troppo gli anfibi, che il fango, se ti entra nel carrarmato delle suole, sono cavoli tirarlo via.
Improvvisamente Pralomo si fermò, “Stttttt!”
“Che minchia…?”
“Zitto, t’ho detto! Ascolta!”
Anche Perrone si immobilizzò e si mise ad ascoltare,”Non sento niente.”
“Zitto, zitto!” Pralomo socchiuse gli occhi, come per affinare l’udito. “Non lo senti questo rumore?”
“Nà, niente!”
“E’ un rumore strano, ritmico, tutum, tutum, come un tamburo; poi c’è un suono metallico, come di qualcosa che sbatte.”
“Aspetta… sì, sento qualcosa: tutum, tutum…”
“Chivalà!” gridò a squarciagola Pralomo, mettendosi a chinino e facendo gesto a Perrone di imitarlo.
Nessuna risposta.
“Adesso si sente più forte. Minchia, viene verso di noi. Che facciamo?”
Pralomo estrasse un caricatore dalla giberna, ne stracciò il sigillo piombato con i denti, e lo inserì nel mitra.
“Ma che cazzo fai, Pra? Hai stracciato il sigillo del caricatore. Domattina lo senti il maresciallo.”
“Che mi fa? Mi annulla la licenza?” armò il percussore e tolse la sicura, “Te fai come vuoi, ma io non mi faccio fregare: te lo sai che i terroristi ammazzano le sentinelle per ciuffargli le armi?”
Perrone ristette un attimo silenzioso, poi imitò il compagno, “Fanculo, Marco, faccio come dici tu; sei tu il caporonda: domattina sono cavoli tuoi.”
Pralomo chiamò alla radio, “Sala controllo, qui Scatter.”
“Qui sala controllo, avanti Scatter.”
“Io non so cosa stia succedendo, ma qua fuori si sentono un mucchio di rumori strani…”
“Strani come?”
Il suono aumentò di intensità TUTUM TUTUM, TING TING TING. Perrone sbarrò gli occhi e indicò in cielo, davanti a loro, delle luci intermittenti, sembravano ancora lontane, “Pra! Guarda! Che minchia è!?”
Pralomo guardò in alto, alcune luci, intense e cangianti, fluttuavano al ritmo del suono che avevano udito poco prima, e viaggiavano verso di loro.
“Sala controllo, ci sono delle luci in cielo, e vengono verso di noi… volano!”
“Calma caporonda. Noi sugli schermi non abbiamo nulla. Descrivi queste luci!”
Pralomo deglutì, fissò le luci che continuavano ad avanzare, sempre più veloci, e parlò alla radio: “Una fila di luci cangianti: rosse, blu, gialle, verdi e bianche. Si sente un rumore ritmico come qualcosa di pesante che sbatte e un rumore più acuto, metallico.”
“Sul radar non c’è nulla, ripeto: nulla.” L’operatore della sala controllo, “Ragazzi, non è che avete esagerato con il cordiale?”
“Quella roba lì non la metto nemmeno su una ferita! Boia di un giuda! Non riesco a identificare l’oggetto, non so cosa vedete sul radar, ma sta venendo da questa parte e se aspettate un po’ sarà proprio sopra di noi. Allora, poi, ve lo descrivo!”
Le luci lampeggianti si facevano sempre più vicine e il rumore stava diventando assordante.
“Pra, non è che è un UFO?” gridò Perrone, “Adesso scendono gli alieni e ci rapiscono… come in quei telefilm… XY…”
“Sì, e Z! Ma va a cagare, Perrone. Non so cosa cazzo è questo affare qui; so che il radar non lo vede; io ho dato il chivalà e non risponde, si trova su area militare e mi viene incontro. Io sparo!”
Pralomo imbracciò il mitra, lo puntò al centro del grappolo di luci intermittenti e cominciò a sparare, raffiche brevi e rapide.
Perrone ci pensò un attimo, poi alzò la sua arma, “E che minchia…” e si mise a sparare anche lui.
Dalla radio arrivò un grido: “Che cazzo sta succedendo là fuori?! Pralomo, Perrone, chi è che spara? Cosa succede?”
Ma i due soldati non sentivano nulla, assordati dalle loro armi.
Le luci sobbalzarono, sembrarono rallentare, “Dai Vincenzo, spara, che lo fermiamo, ‘sto zavaglio di UFO!”
Cambiarono caricatore quasi nello stesso momento, ma in pochi secondi svuotarono anche quello. Il rumore sordo perse il ritmo, e le luci parvero cambiare direzione, bruscamente.
Perrone e Pralomo finirono i colpi di tutti e quattro i caricatori, duecentoquaranta proiettili, e l’oggetto luminoso scivolò alla loro destra, velocissimo, in un vortice di vento gelido, sparendo alle loro spalle.
Perrone intuì soltanto che qualcosa stava cadendo dal cielo, “A terra!”
Si sdraiarono nell’erba gelata con un balzo fulmineo, mentre un oggetto rovinò al suolo, con un tonfo sordo. Poi fu il silenzio.
Un silenzio irreale, nel quale la radio continuava a gracchiare: “Perrone! Pralomo! Rispondete.”
La nebbia parve diradarsi, la luce dei lampioni crescere d’intensità; i due uomini si alzarono e andarono verso un punto, nell’erba alta, da dove si levava un filo di fumo denso.
“Se n’è staccato un pezzo.” Ipotizzò Perrone.
“Sembra che lo abbiamo beccato.”
Si ritrovarono in piedi, davanti al frammento precipitato.
“Perrone, ma che cazzo è?”
“Sembrerebbe… un, un coso, lì… come minchia si chiama? Un Capricorno! Ecco!”
“Sì, un Saggitario! Ma va là Perrone! Non dire stronzate. “Lo rimbrottò il primo aviere, “Sembrerebbe…”
Perrone sollevò gli occhi sconvolti sul compagno di ronda, “Minchia Pra, ma a chi minchia abbiamo sparato?”
Pralomo scosse la testa, confuso.
Nell’erba, davanti a loro, crivellato di colpi, c’era il cadavere di una renna, con una bardatura multicolore e un berretto rosso.
Pubblicato per gentile concessione dell’autore