di Enzo Barnabà
“Ero a Grimaldi di Ventimiglia, quella sera, davanti al mare che ad occidente bagna Mentone e la Costa Azzurra, a oriente le balze cui alcuni paesi sembrano tenersi aggrappati in quelle ultime contrade d’Italia. Lì, da un amico che abita quella panoramica casa…”. Sì, l’amico di cui parla Matteo Collura sono io. Mi definisce “giramondo originario di Valguarnera Caropepe, il paese in provincia di Enna dove nacque lo scrittore Francesco Lanza e che Nino Martoglio rese popolare con la commedia L’aria del continente”. Quella sera (siamo nell’estate del 2006 e Matteo era venuto a Grimaldi per presentare il suo ultimo libro, il romanzo Qualcuno ha ucciso il generale ) gli parlai di Salvatore Cacciatore, Ciro , il partigiano agrigentino che affrontò con grande dignità e coraggio la morte per impiccagione nel marzo 1945 in quella piazza nel cuore di Belluno che oggi è intitolata a lui e ai suoi compagni. Matteo lesse l’articolo pubblicato sul sito www.enzobarnaba.it e si mostrò subito interessato: “Mio zio Francesco, come Ciro, venne torturato e ucciso negli stessi posti e negli stessi giorni. Ma stava dall’altra parte. Ho cominciato a scrivere di lui interrogandomi sulla liceità della pena di morte. Adesso penso che potrei piuttosto ricostruire in parallelo le vicende dei due giovani agrigentini che avevano deciso di continuare la guerra lontano dalla Sicilia”.
E così farà. Andrà a Belluno, consulterà carte, visiterà luoghi, interrogherà testimoni. Conoscerà Iva, la ragazza di Ciro, così come aveva incontrato Albina, la fidanzata di suo zio: due signore anziane che non hanno dimenticato né le speranze accese nei loro cuori sessantadue anni fa da due giovani siciliani né le indicibili tragedie che quelle speranze hanno frantumato. Ad Aragona, il paese dell’Agrigentino in cui il partigiano è nato, scoprirà una realtà pirandelliana: Salvatore Cacciatore è soltanto un nome anagrafico cui nessuno è in grado di attribuire un volto…
L’inchiesta è diventata un intenso e civile capitolo dell’ultimo libro di Collura, L’isola senza ponte. Uomini e storie di Sicilia, Longanesi, 2007, con cui lo scrittore agrigentino, tre anni dopo In Sicilia, ritorna al filone della saggistica continuando a scandagliare lo stesso argomento. “Non so quante volte”, afferma Collura, “come l’abate Faria, scrivendo io abbia tentato di evadere dalla Sicilia, ritrovandomi sempre in una posizione più interna di quella da cui ero partito. E questo non perché la Sicilia è una prigione dalla quale è impossibile evadere come la fortezza immaginata da Alexandre Dumas, ma perché non si finisce mai di parlare della propria terra, di evocarla, di confrontarla, di allontanarla o chiamarla a sé”.
I saggi precedenti – fondati su solida cultura e ricchi di brillanti intuizioni – sono, com’è noto, dei punti fermi dell’opera collettiva che tende a tracciare l’identità dell’isola. Adesso Collura va più in là: si direbbe che come il buon vino, invecchiando (che brutto verbo da usare per un coetaneo!) migliori. Si comincia con una ghiotta riflessione sull’insularità, sui tratti caratteriali dovuti al fatto di abitare in quella che Borgese definiva “un’isola non abbastanza isola”. E ci troviamo di fronte ad un’insularità diversa da quella dei sardi, più mentale che geografica, che può arrivare all’isolitudine di Bufalino, quella del siciliano che si isola e chiude dall’interno la porta della propria solitudine.
Il libro, in implicito contrasto con la letteratura folcloristica e di intrattenimento che oggi attira l’attenzione del grande pubblico, si snoda poi lungo un itinerario che porta il lettore all’interno della cultura alta che l’isola possiede facendogli effettuare godibilissime tappe nel pieno della vita e dell’opera di Pirandello, Antonello da Messina, Sciascia, Brancati, Bufalino ed altri. Tra questi altri, va registrato un rapido ma pertinente giudizio su Francesco Lanza che ha forse ispirato il sottotitolo del volume. Degno del più grande interesse il capitolo dedicato a Lampedusa: “Come tanti altri”, afferma Collura, “ho sbagliato a giudicare il Gattopardo. Non si trattava di un romanzo passatista, volto all’indietro. È invece probabilmente il libro più importante della letteratura italiana dopo i Promessi Sposi. La rivalutazione di Lampedusa, da parte mia, è convinta e definitiva. Nel Gattopardo c’è l’Italia del 1860, quella del 1956 quando il libro fu scritto e persino l’Italia di oggi”. Un’autocritica e una rivalutazione che coinvolgono un’intera generazione di siciliani.