Sono sempre stato affascinato dai perdenti. Non riesco veramente ad amare un libro se alla fine il protagonista non perde qualcosa, o qualcuno, o sé stesso. Le storie dove l’eroe, alla fine, sconfigge l’antagonista e seduce la protagonista femminile, mi sembrano sciape, lontane dal vero. Nella mia mente l’eroe (o l’antieroe) è solo, nudo, abbandonato. (ma.mi.)
Il romanzo di Stefano Amato ha un aspetto rassicurante, una dimensione contenuta, l’impaginazione e l’odore di certi volumetti che, ai tempi della scuola, erano destinati all’ora di narrativa. Leggendolo si coglie subito lo stile pulito e piano di chi non tenta trucchi e bada solo a raccontare la sua storia, perché nel romanzo, alla fine, è la storia che ti rimane in mente, ed è la sequenza degli eventi che ti porta da una pagina all’altra e poi sino alla fine.
“Nel 1978, alla veneranda età di trentacinque anni, Peter Obermayer, mio padre, lasciò il suo posto di ferroviere a Graz (Austria) e, a bordo della sua Renaul 4 rossa, attraversò le Alpi, gli Appennini e lo Stretto e si trasferì in Sicilia.”
Inizia così Soggetti del verbo perdere, con questo padre d’oltralpe che percorre all’incontrario il sentiero dell’emigrazione, approda a Siracusa, cambia nome in Graz, in onore della sua città natale, e genera Alfonzo, il protagonista della storia dal nome improbabile sulla cui origine è lecito immaginare (l’autore tace in merito, ma è lecito immaginarlo) retroscena di incomunicabilità linguistica (a occhio e croce tra Peter Obermayer-Graz e l’impiegato dell’anagrafe). “Graz, lei non riuscirà mai a combinare un bel niente.” Così la professoressa di filosofia dei tempi del liceo apostrofa Alfonzo ogni volta che ne ha occasione. E’ il Teorema di Graz. Inesorabile, ineludibile. Alfonzo non tenta nemmeno di ribattere. Altri al suo posto risponderebbero per le rime, ma Alfonzo Graz no. E’ un perfetto soggetto del verbo perdere. Col suo silenzio non fa che rendere ossequio alla propria natura. Cosa fa di Alfonzo Graz un perdente? Semplice, il fatto che è incapace di essere un vincente. Un vincente ha pochi dubbi, grande fiducia nei propri mezzi, desideri pressanti, certezze monolitiche. Magari sbagliate ma monolitiche.
Ciò che poi veramente fa un vincente è la capacità di piegare gli accadimenti a proprio favore. Tutto ciò è assente in Alfonzo Graz. Egli subisce ciò che accade e ciò che non accade. Immerso nella placida inerzia siciliana, se ne lascia avviluppare e vi si impelaga, vittima di fantasie idiosincrasiche e dubbi epocali assolutamente incompatibili con la realtà, tipo: coma ha potuto Mario Puzo, mitico autore del romanzo Il padrino, firmare la sceneggiatura di Superman? Come ha potuto un grande autore cadere così in basso?
Non capisce, il poveretto, che Puzo ha agito da vincente. Eppure Puzo, durante una fantasia glielo dice pure. Lo ha fatto per soldi.
Ecco, dimenticavo, un’altra dote dei vincenti è l’opportunismo.
Eppure anche Alfonzo ha la sua occasione: parte per l’America.
Ora sarebbe lungo spiegare come fa ad andare in America un perdente che, per di più, non ha una lira in tasca, fatto sta che ci va, se volete sapere come leggete il libro. Basti sapere che c’entra una sorta di fatino buono con maggiordomo.
Cosa farà in America il nostro? Be’ – e questo è anche l’unico appunto che mi sento di fare a Stefano Amato, cioè essersi lasciato troppo ispirare da My name is Tanino -, diciamo che in America, la sana America WASP da videomovie delle 16, Alfonzo riesce a combinare qualche casino e alla fine deve rientrare in Italia. Non più perdente ma looser, chè pare laggiù si dica così. Con la differenza che da loro looser è ormai quasi un insulto (almeno tanto mi assicura un amico ben informato), mentre da noi è ancora un participio romantico ispiratore di romanzi.
Mi rileggo e provo l’improvviso timore di avere reso un pessimo servizio a Stefano Amato e al suo romanzo. Mi sono perso in amenità, mentre avrei forse dovuto dire altro, e cioè che Soggetti del verbo perdere è anche un attendibile spaccato della realtà siciliana degli ultimi anni, fatta di emigrazione dei giovani migliori, mentre chi è rimasto ha spesso dovuto adattarsi alla sottocupazione e al disconoscimento di un intero percorso di formazione e di vita. Oppure a un sistema di clientele che non fa che rigenerare sé stesso. Alfonzo è il perfetto archetipo del sottoccupato (o inoccupato) con laurea, incapace di iniziative e proteste, ma adattabile alle situazioni contingenti. Ragazzi ai quali i padri mostrano il nulla e promettono: “Tutto questo, un giorno, sarà tuo”, ricevendo in cambio non un urlo di rabbia, ma un grazie poco partecipato.
Un romanzo fatto di inerzie e indecisioni, molto più profondo di quel che pare, infinitamente più vero e amaro di quanto l’ironia della scrittura sembri voler mostrare.
Stefano Amato – Soggetti del verbo perdere. Verba Volant edizioni , Siracusa, 2006. Pp. 159, € 9,00. ISBN 88-89122-16-1
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