Provate a immaginare un open space dove lavorano persone sempre allegre. Chattano e scaricano file da internet. Non si capisce bene che lavoro facciano, sono il terziario avanzato portato alle sue estreme conseguenze, però sono lì. Forse nemmeno loro capiscono bene che cosa fanno (e infatti si impegnano a fare tutt’altro), forse il fatto di sedere davanti a un monitor, in perenne immersione nella realtà virtuale causa dissociazioni e disconoscimenti della realtà reale. Non sono gravati apparentemente da responsabilità, ficcano gli occhi nello schermo e digitano, se devono dirsi buongiorno si mandano una mail.
Sono il suo mondo. L’alternativa è una serata in discoteca con Alcor.
Chi è Actarus davvero? Cosa fa quando non è impegnato a salvare il mondo? Be’, Actarus è un povero cristo. Ha un impiego malpagato da pilota di robot, sa fare solo quello, è un iperspecializzato che annega nella noia e nella Peroni. Quando non è impegnato a combattere nella stratosfera è tenuto per contratto a sfacchinare in una fattoria sotto l’occhio sempre acceso delle telecamere.
Firma autografi e alimenta il mercato dell’immagine. Ha un solo dubbio: perché aspettare tanto prima di attivare il tuono spaziale e distruggere il veganiano di turno? Se è tanto facile vincere, perché non farlo subito?
Nel Giappone ipertecnologico del 2076 (che somiglia tanto all’italia post new economy di oggi), i personaggi di Atlas Ufo Robot agiscono sotto la spinta di ambizioni molto umane. Alcor è un ex alcolizzato (infatti una volta lo chiamavano Alcol)* che nella vita privata frequenta discoteche e sul lavoro spesso usa lo stesso trattamento agli alieni e alle scolaresche. Venusia ama. Sopratutto mettersi in evidenza. Allaccia relazioni frequenti e poco durature, affascinata dalle dimensioni intellettuali del partner, ma anche da quelle del loro attrezzo intimo. E’ una carrierista senza scrupoli che ridiventa umana solo nella solitudine di una toilette per donne.
Procton, invece, attraverso la grande vetrata del Centro scruta l’orizzonte e il futuro, oppresso dalle responabilità della grande lotta contro il male. Che non concede nulla, né tregua né tempo per le vacanze.
“Va’, distruggi il male, va’.” Non c’è spazio per altro pensiero nella mente di Actarus. Identificare il male e combatterlo senza quartiere. Suddividere dicotomicamete l’universo e le razze, tutto ciò che non è male non può che essere bene. Vega è male, il Centro bene, ciò che è bene è giusto e il fine del giusto giustifica ogni mezzo.
Questo romanzo non c’entra nulla con il sentimentalismo retorico di un revival. Sfrutta un’iconografia televisiva ma la stravolge e deforma a servizio delle metafora complessiva. In filigrana si legge un’interpretazione realistica del conflitto globale interetnico, culturale ed economico.
Solo che Morici vuole ottenere qualcosa di più. Giungere all’origine di bene e male, isolare l’elemento comune, dimostrare che nessuna cultura è portatrice assoluta di ogni valore positivo o negativo.
Se Actarus è un paladino del bene, ogni suo dubbio mina la lotta contro il male. Ma Actarus ha dubbi, molti. Si ubriaca di Peroni e non comprende perché deve attendere tanto per usare il tuono spaziale. Vuole tornare su Fleed ma non ha abbastanza soldi per il biglietto. S’innamora (no, non di Venusia, la relazione con Venusia è solo un copione scritto dall’ufficio stampa) perché probabilmente ha bisogno di questo sentimento. Ha bisogno di sentirsi normale.
“Va’, distruggi il male, va’”. Chi lotta per il bene non può essere normale, non può avere dubbi.
Un contraltare dell’apparenza e del mito, una crepa nel cristallo. Morici ridisegna situazioni e personaggi senza alcuna riverenza verso gli originali, come un teppista che s’impegni a dipingere i baffi sulla Gioconda. Riprende personaggi cristallizzati nella memoria di chi ha bevuto a occhi sgranati tuoni spaziali e lame rotanti, e li umanizza precipitandoli nella realtà dell’economia globale e disumanizzata. Esiste, vicino a noi, qualcosa di molto più mostruoso dei robot guerrieri di Vega.
Claudio Morici – Actarus, la vera storia di un pilota di robot. Meridiano Zero, Padova, 2007. € 13,00, pp. 222. ISBN 978888237137-1
* Nota – La binomia Alcor-Alcol è una raffinatezza di cui ringrazio Claudio Morici. Ero bambino, ma avevo sufficiente spirito di osservazione da accorgermi che il personaggio era talvolta chiamato Alcor, talaltra Alcol. Pensai di aver sentito male, poi lessi la didascalia sotto un’immagine di TV Sorrisi e Canzoni, e diceva proprio: “Alcol, fedele amico di Goldrake” (che poi era Actarus, ma su TV sorrisi e Canzoni, negli anni ’70, le didascalie lasciavano spesso a desiderare). Ho sempre immaginato un errore dei doppiatori, o del giornale, o di tutti e due. Oggi so che il motivo vero era un altro.