di Mauro Mirci
Il libro s’intitola “Dietro il sahara”. L’autore è Enzo Barnabà.La copertina è bellissima. Compaiono le teste di quattro uomini di profilo. Sopra
Con mia moglie abbiamo fatto varie supposizioni. Alla fine ho preso la situazione in pungno e ho dichiarato: “E’ l’insegna di una locale, è chiaro. Vedi? Il locale si chiama Casinò Tyson. Samedì soir è la data. Allora Baby face deve essere un gruppo. Ecco, è il manifesto di un gruppo, per la precisione un quartetto, probabilmente vocale.
Noi c’abbiamo i Neri per caso, in Costa d’Avorio hanno i Baby face”.
Mia moglie mi ha smontato con un gesto. Mostrandomi il risvolto di copertina. C’era scritto: “in copertina: Insegna di parrucchiere ambulante ad Abidjan”.
Tagli.
Sono nomi di tagli per capelli.
(E infatti: Casino ha il ciuffo a banana; Tyson la finta cicatrice sull’attaccatura; Samedì soir ciuffo a banana impreziosito da riga laterale e basette; Baby face… beh, sembra quello che dice di essere).
E’ una raccolta di otto racconti (per l’esattezza sette racconti e un’intervista) di ambientazione africana. Godibilissimi.
Enzo Barnabà trasuda mal d’Africa – se glielo si chiede lo ammette candidamente, del resto -, e con questo libro paga un debito d’amore. Nulla quest’amore toglie alla efficacia narrativa dei testi, sostenuti da una scrittura d’ispirazione naturalista, vicina, per capacità di rappresentazione storica e sociale, a quella di un Coetzee (il Coetzee immaginifico e cinico di Terre al crepuscolo). Alla stessa maniera di Coetzee, Barnabà affronta il difficile tema dei paralleli e delle differenza, cercando – e riuscendo – a rappresentare l’Africa senza attingere – anzi sfuggendo – a iconografie di facile effetto narrativo.
L’esperienza africana di Barnabà è diretta, protratta nel tempo e sentita nell’intimo. Il messaggio, il primo e più utile messaggio che questo libro trasmette è che nulla, nell’Africa è assolutamente buono e cattivo. Messaggio null’affatto banale, poiché su tale tipo di approccio, frutto di una visione in definitiva puramente razzistica, si fonda gran parte delle idee dell’occidentale tipo. Idee adeguate a una prospettiva appiattita e, appunto, iconografica, frutto di rappresentazioni mediatiche approssimative e irrealistiche, incapaci di rappresentare l’africano come realmente è perché, in ultima analisi, incapaci di rappresentare l’uomo.
E’ il messaggio di Dietro il Sahara: il luogo dove si nasce e si vive è ciò che forma l’individuo, mentre l’essere umano nutre ovunque le medesime pulsioni, gli stessi sogni, gli stessi desideri, si abbandona alle stesse debolezze.
La prima di queste debolezze sta nella vergogna del proprio passato. L’acqua calda non deve dimenticare di essere nata fredda è la massima che Barnabà ci consegna, citazione di proverbio ivoriano – uno dei tanti dei quali il libro è ricco -, nel primo racconto della raccolta, “Tra il visibile e l’invisibile”, nel quale Gnamidjo – un Poro, un iniziato – esercita la più classica arte d’arrangiasi (affitta il telefono cellulare ai viaggiatori in arrivo) nell’aeroporto di Abidjan, dove per “strana coincidenza” le cabine telefoniche sono tutte guaste. Attraverso la sua breve storia, e analoghe storie di riti iniziatici e superstizioni, si rivela un perfetto strumento per la rivelazione delle contraddizioni e dei punti di attrito tra il mondo tribale e la way of life occidentale.
“Il cuore” è una storia di respiro ampio pur se costretta in poche pagine. Inizia con un dialogo. “L’Africa non è più quella di una volta” dice Serge. L’uomo a capotavola risponde: “Ma no, ma no, i melanodermi sono sempre gli stessi. Gratta un po’ la patina di civiltà che gli abbiamo messo addosso e tornano a essere quelli che sono sempre stati. L’Africa non è forse piena di posti in cui la gente si scanna a vicenda a colpi di kalashnikov e di machete?”
Jaques, proprietario di una fabbrica di laterizi, assume solo manodopera femminile, alla quale richiede anche prestazioni sessuali. Storia di vendetta e di miopia colonialista che propone la contrapposizione da due diverse visioni del mondo. Una lucida disamina dei meccanismi del potere, che deve fondarsi sull’arbitrio e sull’ingiustizia per essere riconosciuto veramente come tale.
In “Felix e la cupola”, la grande cupola voluta da Felix Houphouet Boigny, più grande ancora di quella della basilica San Pietro, rappresenta la chiave interpretativa di comportamenti paradossali, da un canto il desiderio di raggiungere e superare l’occidente – modello di civilizzazione del quale è più facile cogliere solo gli aspetti superficiali -, dall’altro le tradizioni e le credenze impossibili da sradicare. Protagonista del racconto è il Gris-Gris, un amuleto, con funzioni simili a quelle dei fantocci per il vodoo.
Ne “Il groto” protagonista è l’equivoco, il desiderio di redimere. Un uomo bianco seduce la giovane Chantal. Immagina in lei una ingenuità che poi scoprirà solo sua, mentre in realtà la ragazza è più smaliziata di ciò che lui immaginava. Il ribaltamento del mito del buon selvaggio.
Potopotò è un suono onomatopeico, e indica il fango. In “Potopotò” un coltivatore di ananas ha quattro mogli che impiega nella piantagione. Le bastona per punirle della loro pigrizia e civetteria. Deve quindi subire la ritorsione sotto forma di uno sciopero che si concluderà solo quando lui presenterà le sue scuse. “I tempi non sono davvero più quelli di una volta e mai si è visto un fiume risalire verso la sorgente”, esclama il protagonista.
“Il mal d’Africa di Lilì” è uno spaccato di vita africana. Esotica nelle forme, molto familiare nella sostanza. Il protagonista del racconto affronta un viaggio in compagnia dell’ivoriana Lilì. La narrazione si snoda prendendo spunto da una progressiva immersione dell’europeo nella civiltà ivoriana, dal transito, attraversando l’interfaccia Abidjan (luogo di dialogo forzato tra la tradizione e la modernità), da uno stile di vita prettamente occidentale (ma sarebbe più giusto dire occidentalizzato), a uno d’impronta sempre più tribale, ma fortemente occidentalizzato anch’esso.
Leggendo “La guaina e l’acciaio” mi tornano in mente alcune definizioni della teoria dei vettori che esulano dal linguaggio comune. Se nel linguaggio comune direzione e verso sono sinonimi, nella teoria vettoriale, il verso non è altro che un modo di definire una forza (indica verso dove è applicata) mentre la direzione indica la linea sulla quale la forza agisce. Esiste poi l’intensità, ma giusto per dirla tutta.
Bene, i due personaggi di questo racconto si comportano come due vettori di direzioni parallele e versi opposti. L’africana che si distacca sempre più dalla terra e dalla cultura d’origine. L’italiano che si africanizza, sino a entrare a far parte di una comunità. Poiché provengono da punti opposti si incontrano, ma è un incontro necessario perché poi ognuno possa proseguire oltre. Metafora perfetta di un’africa che insegue la rarefazione e la decadenza europea e di un’Europa che anela recuperare le tradizioni e la semplicità perdute.
Chiude la raccolta “Bernard Dadié”, intervista allo scrittore Bernard Dadiè, il maggior scrittore ivoriano. Cosa può salvare l’africa? Solo un sacrificio, conclude Dadié, narrando la fiaba della regina Pokou, chiara metafora che indica la sofferenza e la rinuncia personale come unico strumento per affrancarsi dagli errori del passato.
Ogni racconto di Dietro il Sahara è simile a un teorema: intende dimostrare una tesi. Coerentente parte da un’ipotesi e giunge alla tesi attraverso la dimostrazione. La dimostrazione assume la forma di una narrazione diretta e sfrondata di enfasi e ideologismi (ma il libro è fortemente ideologico, in realtà, proprio per questa rigorosa elaborazione e rappresentazione del reale).
La scrittura di Barnabà scongiura la banalità, il principio dell’edificazione morale, si fa testimonianza e mette in evidenza le differenze, ma anche le somiglianze tra due culture.
In realtà più di due, perché se la cultura occidentale ha caratteri di uniformità (di globalizzazione) assai spiccati, quella africana viene sovente descritta avendo cura di sottolineare sempre la complessità del mosaico etnico, culturale e sociale nel quale i personaggi di Barnabà di muovono.
L’ipotesi del teorema è che la nostra visione dell’Africa è pregiudiziale, miope e approssimata per abbondante difetto. Barnabà conduce la sue serie di otto dimostrazioni e dimostra la sua tesi, restituendoci una cultura viva e in costante evoluzione, vittima del pregiudizio e dell’avidità di potere.
Enzo Barnabà – Dietro il Sahara. Racconti. Philobiblon ed, 2004. Pp. 116, € 10,00.
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