di Mauro Mirci
Benedetto Mazzarini è uno scrittore che ha perduto l’ispirazione. Emulo incompiuto di Bukowsky, vive un’esistenza che sconta i postumi terribili del successo editoriale del suo romanzo d’esordio. Fiammetta lo lascia rinfacciandogli ogni ora che la loro vita insieme l’ha costretta a trascorrere in analisi. Elisa è una scrittrice e un amore perfetto. Troppo per uno scrittore, soprattutto se “fa moda essere uno scrittore maledetto”. In fin dei conti Bukowsy e babbaluci è un romanzo d’amore. Imperfetto e paradossale, vero, ma pur sempre d’amore. Benedetto Mazzarini sfugge l’amore, lo sfugge con tutte le sue forze, perché solo nella tristezza della solitudine gli è dato ritrovare la rabbia creativa, la perfetta incompletezza di sé che è ottimo pretesto di narrazione.
Sotto l’egida di un titolo che è allo stesso tempo metafora e ossimoro, i personaggi del racconto agiscono in perfetta sinergia, i loro movimenti s’incastrano perfettamente tra di loro, il meccanismo narrativo è ben oliato. Bukowsky e babbaluci ha i tratti somatici del Vaudeville, ma del Vaudeville ha la brillantezza e non la leggerezza. La storia si snoda attraverso la narrazione delle vicende personali di Mazzarini. Scrittore “incolto”, che non ha letto i classici, di estrazione popolare, talentuoso e egocentrico, ha conquistato la fama col suo primo romanzo, ma non riesce a scrivere il secondo. Fa quello che farebbe qualsiasi scrittore in crisi, di buona penna ma in debito d’ispirazione. Non inventa nulla: riferisce.
Nell’hard disk del suo computer, dentro i file del word processor, rimane imprigionato chiunque lo circondi, e i fatti e le persone di ogni giorno divengono marchingegni narrativi e cose narrabili. Accade al suo vecchio editor, poeta disincantato, Virgilio prosaico e ricco d’esperienza. Accade alle sue donne, al nuovo editor, giovane, idealista e di buona famiglia, ricco di studi oltreoceanici e oppresso da una ingombrante figura paterna. Causa vacanza su un’isola – innominata isola del sud, lontana il giusto, isolata ma non troppo – capita anche a frequentatori di chat e attricette in cerca di visibilità.
Pelham Grenville Woodehouse trovava soluzione ai suoi romanzi seguendo una tecnica giallistica: radunava tutti i suoi personaggi un nobili case di campagna. Seguendo lo stesso metodo, Daniela Gambino riunisce gli abitatori del suo romanzo sull’isola. Costretti dall’autrice alla convivenza i personaggi non possono più ignorarsi, devono interagire, fornire soluzioni ai problemi propri e, di conseguenza a quelli di Mazzarini. Sono costretti ad alimentare il romanzo sino alla sua conclusione, a fornire con dinamica perfettamente circolare, storie parallele utili a sostenere il racconto principale: la nascita di un romanzo.
Questo libro è un collage: c’è dentro tutto quello di cui s’è nutrita la generazione nata sul finire degli anni ’60, quelli che non si sa se siano nati alla fine del boom economico o all’inizio dell’Austerity. C’è Marquez e Lupin III, il postcomunismo e il neoliberismo, il tinello di casa con la lampadina senza paralume e la velocità di internet. C’è la vita sregolata dell’artista – Bukowsky -e la paura dell’altro, del mondo, del confronto – i babbaluci, le lumache, che celano la loro polpa fragile all’interno del guscio.
C’è soprattutto lo stile di una scrittrice che è Benedetto Mazzarini in tutto. Dotata di una scrittura decisa e piacevole, mai banale, Daniela Gambino dà vita a personaggi tangibili, che elabora più volte nelle successive trasmutazioni che portano, in chiave narrativa, le persone a essere personaggi e, quindi, di nuovo persone.
Un metaromanzo che è, al contempo, anche romanzo popolare e d’evasione. Un bel libro.
Daniela Gambino, Bukowsky e babbaluci. 2005, Edizioni Interculturali. Pp. 204, € 10,00.