di Mauro Mirci
“Paulu” era il nome, di cui “piulu” era, con l’artificio della consonanza, una duplicazione. “Piulu” era un sostantivo onomatopeico, che si potrebbe tradurre con lamento. Indicava il verso di un uccello notturno e, per trasposizione, lo stesso uccello, che si diceva avesse il potere di dare la chiamata della morte; perciò, figurando come apposizione di Paolo, gli attribuisce il potere dell’animale.
Giorgio Morale pubblica il suo primo romanzo a cinquant’anni, ed è un romanzo che testimonia la maturità umana prima ancora che dell’artista. Paulu Piulu e Giorgio Morale sono due figure sovrapponibili: hanno osservato gli stessi eventi, sono coeve e siamesi.
L’esordio a cinquant’anni di un buon scrittore è logico, giusto addirittura, se una storia reca tutta la poesia, la malinconia e le speranze del vissuto. Una storia così necessita di lunga gestazione e accumulazione di esperienze. Se il risultato, poi, è la storia di Paolo, cioè un ottimo esempio di reale letterario – ossimoro seducente e invitante – la conclusione inevitabile è che tutto questo tempo è stato speso bene.
Quanto di Paulu Piulu è in Giorgio Morale, e fino a che punto Giorgio Morale ha riversato sé stesso in Paolo? La scelta della terza persona, la scrittura limpida e sfrondata di ogni superfluo, lo stile prossimo al cronachistico, sono strumenti usati con maestria, utili a rendere una narrazione trasparente, dalla quale il narratore Giorgio Morale scompare per lasciare spazio alla storia pura e semplice, alla successione di fatti che segnano, in stretto ordine cronologico, la vita di Paolo dalla nascita sino a infanzia inoltrata.
Chi narra i fatti – un narratore sobrio, attento all’essenziale – è Paolo stesso. Lo testimoniano il punto di vista assai particolare, tutto infantile, fatto di attenzione a piccole magie e stupore per il mondo dei grandi. Chi narra è anche il Giorgio Morale bambino, evocato da un Giorgio Morale adulto ben mimetizzato dietro le parole del suo libro.
Narrativa della memoria e del reale, dove la Sicilia viene restituita alla sua reale dimensione di patria di esseri umani, mentre nessuno spazio viene concesso all’iconografia regionalistica e letteraria.
I personaggi di cui Giorgio Morale racconta sono tangibili e riconoscibili, identificabili con un vissuto comune fatto di abitudine e piccoli fatti domestici trasfigurati dall’immaginazione di un bambino.
E’ un romanzo, Paulu Piulu, che ti porti dentro per molto tempo. Esistono libri capaci di donare una sensazione di comunione con l’autore, fatta di consapevolezza dell’origine comune. Libri la cui lettura viene immediatamente percepita come esperienza positiva. Libri di indole discreta, che dicono la loro senza arroganza, ma, questo sì, senza equivoci e con decisione. Libri che fa piacere rileggere dopo qualche tempo per recuperare una sfumatura sfuggita o il piacere di una scena letta troppo in fretta. Quei libri sono “i bei libri”. Paulu Piulu è un libro così.