di Piero Sorrentino
Franz Krauspenhaar: cosa ci fa uno con un nome così su paroledisicilia.it? Se tentassi di collegarlo alla Sicilia per via di una madre calabrese compirei un esercitazione di arrampicata sugli specchi senza pari. Se dicessi solo che lo stimo sarei sicuramente banale. Il fatto è che con una madre originaria dell’Italia meridionale e un padre tedesco Franz custodisce dentro di sé un tesoro di commistioni e contaminazioni che lo accomunano alla storia delle Trinacria, che è terra di frontiera e contraddizioni per antonomasia. Franz c’ha la frontiera dentro. Il pezzo che segue è già comparso sul sito La frusta e su Uffenwanken, il blog personale di Franz Krauspenhaar. (ma.mi.)
In tempi di fiction televisive e narrazioni cinematografiche in cui i preti e gli uomini di chiesa sono e restano ormai le sole risorse messe in campo dalle penne sempre più scariche e secche dei nostri sceneggiatori, capaci di far risuonare le loro storie solo con le note di possenti organi e profumarle di incenso e cotte inamidate, imbattersi in una figura come quella di Puch, protagonista de Le cose come stanno (Baldini Castoldi Dalai editore, 114 pagine., 12,40 euro), secondo romanzo di Franz Krauspenhaar, può trasformarsi in un’esperienza immunizzante: una blindatura a prova di bidimensionali parroci di frontiera, preti investigatori e “don” assortiti.
Sfruttando l’espediente classico (e tuttavia spesso ignorato dalla recente narrativa) del romanzo epistolare, Krauspenhaar affida la narrazione a una lunga lettera (“risentita”, aggiunge il sottotitolo) che Puch, giovane sacrestano di una piccola chiesa cattolica tedesca, scrive al fratello Fritz, pittore in cerca di successo emigrato in Danimarca, nei giorni del Natale del 1966. Attorno a questo esile spunto di partenza, Franz Krauspenhaar si avventura nelle profondità della vita interiore dei suoi personaggi con tutte le prerogative di una spietata onniscienza e restituisce al lettore pagine (il suo è un testo composto soprattutto di pagine: sgraziate, nervose, poetiche, malinconiche…) di una densità capace di dare la polvere a opere assai più ponderose e fameliche.
“Le cose restano nella stessa sbagliata posizione di sempre”: la lettera di Puch trabocca di un senso di immedicabile immobilità che si trasforma nella stessa immobilità fisica di Puch, chino sul tavolino a vidimare l’atto di accusa peggiore che si possa fare: un decreto contro quello che si è, o si vorrebbe essere. Perché ogni frase che Puch scaglia contro Fritz è in realtà una spietata requisitoria contro sé stesso, e saggia è stata la scelta per la foto di copertina.
L’immagine è leggermente fuori fuoco; in primo piano, i due maschietti sembrano immersi nella nebbia, stanno vicini ma è come fossero in competizione – più che in posa – per una fotografia. Lo spazio che hanno a disposizione è stretto, e uno dei due sembra di troppo. Assegnare un’identità ai due bambini ritratti è un’operazione delicata: chi è Puch? Chi Fritz? L’immagine Photonica non può presentare meglio di così l’indecidibile lacerazione del povero sacrestano, costretto a sputare su una vita che in fondo, ma nemmeno tanto in fondo, desidera. Come in un racconto di tarda iniziazione, l’indagine contro sé stessi si svolge nel tempo, col tempo, e quello che viene conosciuto modifica profondamente colui che conosce, che accoglie in sé l’ignoto, l’inquietante, il riprovevole che si annida nelle pieghe (e nelle piaghe) della carne.
“Io sono come Dio, perché lascio sempre le cose come stanno, possono pregarmi, scongiurarmi, ma niente, io lascio tutto come sta, non muovo un dito, rimango qui, nella mia quiete rintronante, nella mia enorme muta dissonanza, nella mia sordità da dopoguerra in continuo aggravamento, a parlar male di tutti, di tutti voi che almeno fate qualcosa, ma siete, seppur disgustosamente, degli esseri umani, mentre io sono un essere simile a Dio, non a sua immagine e somiglianza, proprio simile, proprio apparentabile, un dio senza deità, un Dio senza cuore (…)”
Questa è la radice ipotattica della scrittura di Krauspenhaar, che diramandosi sulla pagina allestisce la struttura di un romanzo breve e densissimo sul quale (si spera che col prossimo, in imminente uscita sempre da Baldini Castoldi Dalai, ci sarà un riscatto) la critica ha esercitato il più idiota e immotivato dei silenzi, lasciando immeritatamente le cose come stanno.