di Marco Scalabrino
Nata a Castelvetrano nel 1955, Francesca Incandela è mazarese di adozione. Laureatasi a Palermo in Lettere Moderne con 110 e lode, discutendo una tesi sulle varianti fonetiche e lessicali contenute in una raccolta di proverbi del Settecento, è oggi titolare di cattedra di Italiano e Storia. Sposata, madre di tre ragazze, ama il cinema dell’impegno, la narrativa italiana e inglese, la musica contemporanea e il teatro.
Le sue prime prove di scrittura risalgono all’adolescenza e già allora la sua penna affondava nel rapporto tra l’Io e il ” mondo “, il sé e la società ( profilo creativo che del resto ha mantenuto ). I consensi e gli incoraggiamenti degli esordi ( Irene Marusso previde per lei ” un luminoso avvenire letterario ” ), l’hanno determinata a continuare.
Negli anni Ottanta inizia a collaborare con taluni periodici del territorio e a tenere contatti con altri esponenti della nostra cultura, quali il giornalista Peppe Pirrello, i familiari del poeta Rolando Certa, lo scrittore castelvetranese Gianni Diecidue.
Rifuggendo da ogni sorta di traccheggio pseudo-editoriale, pubblica nel 1996, a proprie spese la sua prima silloge di poesie, AILANTO ( per inciso, Arthur Rimbaud fece stampare a sue spese 500 copie del suo lavoro UNA STAGIONE ALL’INFERNO, ne distribuì sei agli amici, mentre le altre rimasero in un magazzino fino al 1901, quando furono scoperte da un bibliofilo – Rimbaud peraltro, nato nel 1854, era morto nel 1891 ). E’ assai avvertito, nei componimenti di AILANTO, il disincanto verso quegli ideali politici, ispirati a un comunismo utopico e umanitario, che avevano segnato ed esaltato la sua giovinezza.
Nel 1997, con ONDA AZZURRA, si misura con la narrativa per ragazzi. Il lavoro, corredato da apposite schede didattiche, viene adottato come libro di testo nella Scuola Media.
Nel 1998 dà alle stampe la sua terza opera LE STAGIONI DI CAMILLA, la storia delicata e divertente di una ragazzina alle prese con la crescita e la famiglia, opera che viene apprezzata dai giovanissimi.
Alla fine del 1999 è la volta di WALTER E SARA, romanzo in cui Francesca Incandela affronta il tema del disagio giovanile. Il linguaggio a tratti ” nudo e crudo ” suscita, in alcune fasce di lettori, vivo scalpore e aspre critiche, che l’Autrice rintuzza definendo tale atteggiamento indice di ipocrita sordità di fronte alle problematiche giovanili.
PENSIERI DISORDINATI, del 2000, testimonia il suo progressivo percorso di maturazione nella Poesia.
Nel frattempo ha intensificato i rapporti con scrittori, artisti e cultori di tutte le discipline, ha esteso i suoi interessi alla critica e alla saggistica ( sempre più sovente viene chiamata a presentare le opere – di poesia e non solo – di altri autori e tutte le volte adempie brillantemente il proprio ruolo estraendo da ogni lavoro, con dire e fare elegante, quanto di meglio esso presenta ) e fioccano i premi e i riconoscimenti.
Infaticabile ( è inoltre nella redazione del FERRARINO, il giornalino dell’ I.T.C. “Francesco Ferrara” di Mazara del Vallo, Istituto presso il quale è docente ), ha pubblicato nell’Ottobre 2003, FERMATE A RICHIESTA, la sua terza collana di poesie, in cui insistono i temi dell’inquietudine del vivere,
e in precedenza, nel Febbraio del medesimo anno, QUESTA NOTTE E PRIMA CHE SPUNTI L’ALBA, un romanzo giovanile nel quale vengono delineate, a partire dall’ambiente della Scuola – ambiente ideale quindi per la Nostra – e con gli aspetti qualificanti del canone morfologico-sintattico e del lessico adoperati, questioni peculiari di quella età: crisi adolescenziali, odiosi brufoli, fratture generazionali, primi amori … con un tragico epilogo di droga e di morte.
Di una prolificità invidiabile – altri due suoi lavori, in questo momento, sono già in lista di attesa presso l’editore – eccoci a ELIDE E LE ALTRE, il romanzo argomento dell’odierno nostro incontro, già presentato peraltro a Mazara del Vallo lo scorso 16 Settembre.
La copertina, il peso della carta, il carattere, le dimensioni stesse dell’opera sono il viatico di un libro. Quanto più ne condividiamo tali esteriori elementi, quanto più il volume ci piroetta agile tra le mani, quanto più gli occhi ne risultano appagati, tanto più ci accosteremo ad esso di buon grado.
A pieni voti superati gli esami di facciata ( seducente, in copertina, l’immagine di donna realizzazione di Eleonora Lo Buglio – la figlia maggiore di Francesca Incandela ) e i filtri circa la gradevolezza fisica, ci accingiamo a penetrare la sostanza del volume.
Chi è Elide? E chi sono le altre?
Diciamo subito che Elide è, evidentemente, la protagonista della vicenda e di lei, pertanto, tratteremo, a breve, diffusamente.
Le altre sono principalmente Emilia, la madre di Elide, ed Elisa, la sorella maggiore ( l’iniziale dei cui nomi, possiamo notare, è la medesima lettera E. Notazione che altresì vale per un paio dei personaggi maschili di spicco: Enrico ed Ermanno. E allora, sui significati di tale scelta – se ve ne sono – desideriamo interrogare l’Autrice ).
E inoltre, benché nella loro fugace partecipazione e nella misura in cui concorrono a comporre il mosaico e contribuiscono all’economia del lavoro: la piccola Annarella, una anziana donna in scialle nero, le donne che protestano con i mazzi di fiori sempre freschi sulle tombe, mastra Concettina, ‘a mugghieri di Don Pippinu, la moglie di Marco …
Una piccola storia di provincia dunque?
No! Perché Elide ha studiato < la sua passione non era il ricamo >, ha frequentato il < liceo, antico edificio gesuita >, e pur essendo, come la nostra autrice, radicatamente siciliana, dichiaratamente trapanese, spudoratamente belicina: Trefontane, Selinunte, la nocellara del Belice, i capperi di Pantelleria, il vino bianco di Menfi, i ravioloni di ricotta, Santa Margherita del Belice, il terremoto del 1968, Campofelice ( il paese di Elide, che riecheggia vistosamente Campobello ), Castelvetrano, Triscina ( località e cose espressamente menzionate nel volume ), la sua < vita non si fermava in quel paese, che mutava nella deturpazione della speculazione edilizia >, i cui < vicoli, testimonianza gloriosa di un passato e di una dominazione arabo-normanna > erano diventati < dedalo di viuzze, covo risaputo di delinquenti ed extracomunitari >, un paese in cui < i giovani erano scomparsi e i pochi rimasti erano devastati dalla droga o facile preda della criminalità >, il suo mondo < non si esauriva nella ( sua ) Sicilia, terra di conquista di stranieri nel passato e di mafiosi in un tempo più recente >, ella non condivideva affatto l’assunto di Tomasi di Lampedusa: < il sonno, è questo che i siciliani vogliono >. Piuttosto, il novero di tali considerazioni l’hanno resa consapevole che < l'ignoranza delle donne favorisce la mafia >. Da qui l’urgenza di andare a scuola e l’esplicita aspirazione: < farò il magistrato e metterò le catene ai mafiosi >.
Ed ecco un bel giorno di < Settembre - come del resto molti di noi, dei nostri fratelli, amici - partì, era quello che aveva sempre sognato: allontanarsi, per un corso di laurea a Perugia >.
Ovviamente, prima di pervenire a questa determinazione Elide ha maturato un suo vissuto. Vediamo, allora, di riassumerlo in sintetiche tracce.
Elide trascorre la sua infanzia tra il paese e il mare ( è improponibile dalle nostre parti immaginarsi le due cose discoste ), tra i giochi < il battesimo alle bambole > e il fare < la salsa >, la pertosse e il < respirare lo sterco di vacca per guarire >.
Le è compagna la sorella Elisa, remissiva, giudiziosa, tradizionale, ( bedda e sistimata, tanto per capirci ), ben diversa da lei che invece va formando il suo < carattere oscillando tra ombrosità e sbalzi di umore, discorsi lunghi e repentini mutismi >, mentre le giungono, smorzate in sottofondo, parole quali < omertà, lupara, mafia, sgarro: che coglieva nei cortei funebri, così piano da fare fatica a sentirle >.
< Cu ha ammazzato Giacumino lu farmacista? > domandò un giorno, in maniera diretta, Elide a mastra Concettina ” che sa tutto di tutti ” < seminando il panico e il silenzio più ostile > ( anche Mommo u picuraru venne brutalmente freddato a colpi di lupara tra il letame della sua stalla ).
Giacomo, il padre, muore,
con Emilia, la madre, neanche a dirlo < non c'era verso di metterle d'accordo >,
la sorella si fidanza con dovizia di < dolcini di mandorle e rosolio > …
Elide, adesso ragazza, < sotto la spinta delle contestazioni femministe, tra amici con camicie a fiori e i capelli lunghi, avversa il fidanzamento >, è < dura nell'emettere giudizi sul paese e sugli abitanti, contraria alla mentalità stantia del paese >, non approva < l'assurda abitudine siciliana di mettere sempre gli stessi nomi ai figli >. Nel frattempo sono < miseramente falliti: la lotta politica, il femminismo, la volontà reale di cambiamento sociale >, < l'ignoranza è proliferata sulla cancrena del clientelismo >, e < una insoddisfazione interiore comincia a mettere radici >.
E … l’amore?
È amore < lo strappo, la lacerazione, il distacco >?
< Era accaduto velocemente > e < proprio quando tutto avrebbe dovuto unirli >, lei e Ignazio < non avevano più fatto l'amore >, la loro era diventata una < relazione amicale > e solo un < amaro ricordo > le rimase < di quella esperienza >.
Perugia e la libertà significarono < anche solitudine, giornate vuote e vagabonde, smarrimento e sensi di estraneità nella folla > e < Bino, un gattino, diventò l'unico affetto. >
< Incontra Ermanno, suo coetaneo, da Lamezia in Calabria >, e con il biondo Ermanno, la mora Elide trova, forse per la prima volta, < la spensieratezza >. E sono baci, languore e stordimento.
L’amore però non basta; frustrazioni latenti si acuiscono e i due sviluppano nuove, contingenti riflessioni: < qui è tutto falso. Non è la nostra terra. La realtà è che abbiamo mentito persino a noi stessi facendo finta di essere stati liberi di scegliere >.
Ermanno, demotivato, non riuscendo per di più a trovare una confacente occupazione, si trasferirà in Germania, dove nel prosieguo, apprenderemo, sarà a capo di una banda di malviventi e finirà con l’impiccarsi in carcere, a Francoforte.
Dal canto suo, Elide dopo avere < frequentato l'università per pochi mesi, rispondendo ad un annuncio sul giornale locale > inizierà a < lavorare in un polveroso ufficio > per < guadagnare quel tanto che la sollevava dalla responsabilità di elemosinare giù al paese. >
Lì, frattanto, Enrico, il marito di Elisa, avvia una agenzia di viaggi, si tuffa in politica, viene eletto amministratore.
Ma corre voce che il suo < ufficio sia una copertura a certi loschi traffici >.
Le stagioni si susseguono veloci. Elide, ora, ha 25 anni.
Conosce Marco, più anziano di lei di 20 anni, sposato e padre di due figli. < Se hai accanto l'uomo giusto amore e libertà possono compensarsi >, e a Marco, Elide, come mai a nessun uomo prima, confida i suoi pensieri, finanche la sua delusione < a volte mi sembra di non riuscire più a sperare >.
Le cose, tuttavia, non filano lisce, < Marco non intendeva separarsi >, e poi, o forse soprattutto, quella innata, irrisolta sua irrequietezza, mai doma nonostante l’affettuosa presenza del nuovo compagno, non le dà tregua.
Elide accarezza l’idea di non fare più ritorno a casa.
Un atroce evento, che evocherà nella mente di ciascuno di noi lettori il ricordo di un tragico fatto di cronaca realmente successo nella nostra provincia, la costringerà, suo malgrado, a rivedere il proposito.
Di nuovo nella sua Sicilia amara, superati i dissapori con Marco ( che, per amore di lei, si era comunque separato dalla moglie ) sa che ritornerà a lottare.
Fin qui la storia di queste donne.
Donne, che, per dirla con le parole del noto cantautore Enrico Ruggeri, sono sì < dolcemente complicate, emozionate, delicate > ma, anche, coraggiose, autentiche, concrete.
Come le nostre donne, le Siciliane; le quali pur pagando ( o magari proprio a motivo di ciò ) un tributo salatissimo in termini di sangue dei propri figli, mariti, padri, più che gli uomini hanno la forza d’animo, per bocca di Elide, della denuncia: < Questa gente non ha trovato nemmeno il coraggio di pronunciare la parola mafia > e < i discendenti dei vecchi mafiosi ora sono negli uffici, nelle aziende, ovunque >.
Prossimo ormai alla dirittura di arrivo, esorto i lettori non lasciarsi confinare entro le mie succinte indicazioni, e a reperire ed aggiungere quanti più altri tasselli, a palesare inediti gradini nella scala dei costrutti, delle chiavi di lettura, dei valori. E nondimeno, tengo a trasferirvi talune ulteriori brevi valutazioni che la lettura mi ha suscitato.
Per prima, un itinerario lungo le voci che nel racconto si offrono in dialetto; un dialetto, invero, usato con parsimonia e con buona osservanza ortografica.
Un itinerario nel segno del vivere comune, del linguaggio vivo e quotidiano, dell’humus in cui affonda le radici la nostra vicenda; singoli lemmi quali: rianata, cruci, pani, figghi, picciridda, mastra, criata, lemmu, o locuzioni intere: < Veni ccà chi ti la cuntu. Tagghia, no mentri, sti patati >, < Li vermi, comu nenti fussi, nni ficiru fistinu >, < ti maritasti cu un continentali? E chi fa', travagghi? >, < 'Un sacciu nenti, nenti vitti >.
Per seconda valutazione, un excursus tra gli agganci di tenore autobiografico che, mi è parso, aleggino ( facciamo per questo assegnamento su quanto detto della Nostra in apertura e tiriamo un po’ i conti col tempo ):
la bruna Elide,
15 anni,
gli occhi da miope,
frequenta il liceo,
amici con camicie a fiori e i capelli lunghi,
diventa comunista,
aderisce alla sinistra femminile progressista.
Per terza, una sotterranea partitura di liricità che, non dimentichiamo, deriva a Francesca Incandela dall’essere anche poeta.
Solo pochi stralci a mo’ di esempio, tra i tanti disseminati tra le centotrenta pagine del libro, che calcano la misura dell’endecasillabo ( endecasillabo che Ungaretti definì < la combinazione elegante delle nostre parole > ):
la sabbia mulinella divertita –
quell’amore assoluto la rapiva –
arrivava con la brezza Settembre –
l’aria riecheggia di voci lontane –
sentirò affondare nel mio ventre –
una esplosione di luci e colori.
E proprio su quest’ultimo ( tra virgolette ) verso, per concludere, una mirabile suggestione. Figuriamoci Elide, d’estate, sul mare di Trefontane, galleggiare sul dorso come un relitto:
< nonostante tenga gli occhi chiusi, i riverberi del sole - calore e luccichii - penetrano attraverso lo schermo sottile delle palpebre e diventano punti luminosi, come giochi d'artificio in una esplosione di luci e colori ma senza rumore. >
[Elide e le altre, di Francesca Incandela. Editrice ILA PALMA 2005]
Il nostro carissimo Marco Scalabrino è stato ricco di particolari e di sfumature nel recensire il mio libro, lo ringrazio di cuore, così come lo ringrazio per essere riuscito a penetrare nel mio mondo poetico e, questo, è soltanto di pochi.