di Mauro Mirci
Il 29 dicembre 1945, a San Mauro di Caltagirone, nei pressi del monte Mossitto, fu combattuta una battaglia che la storia ufficiale misconosce. Si fronteggiarono oltre settecento militari dell’esercito italiano, forti di cannoni e mitragliatrici, e un centinaio di separatisti agli ordini di Concetto Gallo. La seconda guerra mondiale era terminata da pochi mesi, e in Sicilia il movimento di Finocchiaro Aprile spingeva forte sul pedale del separatismo regionale.
La battaglia di San Mauro fu vera battaglia. La sconfitta su vera sconfitta.
Domenico Seminerio trae ottimo spunto da questi fatti
storici per imbastire una storia che si legge con gusto sino alla fine, anche quando, abbandonata la dimensione di racconto parallelo alla storia, il romanzo si fa pura invenzione e la verve narrativa della prima metà cede il passo a qualche cliché troppo smaccatamente di genere.
La storia.
Stefano, detto Posporo (cioè fiammifero), ha trovato impiego in un paesino dell’Appennino Tosco-Emiliano e lì vive, frequentando la piccola borghesia locale, nell’attesa di fare ritorno in Sicilia. Sereno e rispettabile in apparenza, Stefano possiede in realtà un carattere assai inquieto e ricco d’ombre. Ricerca con affanno un equilibrio interiore, ma il legame con la terra d’origine costituisce un continuo motivo di turbamento. Così si fidanza con la castissima e religiosissima Tiziana ma – tale e quale a certi personaggi di Piero Chiara – ama frequentare le case di tolleranza, delle quali apprezza gioie e frequentatori, e avvia una relazione con una insegnante sposata. Inizia anche a intrattenere rapporti con un siciliano a domicilio coatto: “Nunzio Piparo. Un diavolo. Anzi il diavolo”. Piparo conosce il passato di Stefano, sa che Posporo era il suo nome di battaglia. Stefano “Posporo” ha combattuto a San Mauro, è stato ferito ed è fuggito al nord per evitare l’arresto.
E’ il passato che alza i suoi richiami. Il ritorno alla propria terra è preceduto da un riavvicinamento agli usi di una certa Sicilia, all’omertà, alla complicità col “diavolo”.
La discesa all’inferno di Posporo inizia così, una discesa mascherata da successo, ma lo stesso terribile e crudele. L’ingenuità e la schiettezza che Stefano aveva imparato a conoscere nel paesino dell’Appennino, viene sostituita dalla menzogna sistematica, dal tornacontismo, dal travisamento della verità. Personaggi equivoci e potenti spingono Stefano sulla strada del successo e della depravazione. E’ un mondo, quello al quale Stefano è tornato, dove coazione e soperchieria sembrano essere gli unici meccanismi capaci di regolare le relazioni tra gli esseri umani.
“E allora mi dovevo convincere che tutti gli uomini a tre categorie appartenevano…
I corruttibili erano la più parte. Bisognava solo trattare sul prezzo…
All’apparenza i ricattabili erano più difficili. Per stanarli ci volevano pazienza e informazioni…
Alla terza categoria appartenevano in pochi, veramente pochi. All’inizio tutti onesti partivano, con bei propositi, ma poi, dopo un poco di tempo erano tutti o nella prima o nella seconda categoria.”
Seminerio fa il verso allo Sciascia de Il giorno della civetta e, come Sciascia, non crede che alla fine la verità e la giustizia possano avere la meglio. In un mondo corrotto, gli unici vincitori possono essere solo coloro che sapranno essere più cinici e crudeli dei loro simili.
Il finale non può essere che tragico, cruda metafora di vita e visione disincantata degli eventi.
Domenico Seminerio – Senza re né regno. 2004, Sellerio editore, Palermo. 282 pp., € 10,00. ISBN 88-389-2009-5