D’Agostino. Mi mangiassero i grilli

di Marcello D’Alessandra

La recensione che segue è apparsa sul primo numero di Stilos in versione indipendente. (ma.mi.)

Vinicio, il protagonista-narratore, è un siciliano ventenne, privo dei genitori, cresciuto con i nonni. Il nonno, stanco della moglie e dopo aver scoperto di essere burocraticamente morto, decide di fuggire (un novello Mattia Pascal, sebbene dall’inizio ben più disincantato) per trovare rifugio nell’Oltrepò pavese, presso un cugino in campagna. Non passa molto che Vinicio diserta il servizio militare e raggiunge il nonno, cui è legato da un destino comune, votato alla fuga. Insieme lavorano nei campi; col cugino – torbido figuro – i rapporti sono tesi, fino alla definitiva, violenta rottura. Di nuovo, nonno e nipote sono costretti a fuggire, questa volta in un viaggio a ritroso, alla casa in Sicilia da cui erano fuggiti: un ritorno, controvoglia, alle origini. “Solo uno stupido come Giufà – chiosa amaramente il protagonista, rifacendosi a una figura della tradizione siciliana – tornerebbe nel posto da cui sta scappando”.
E’ la constatazione della impossibilità di una via dì fuga. Vinicio ha disertato, coi servizio militare, tutto un destino che lo attendeva: è fuggito dalla ragazza che lo aveva lasciato, da una famiglia che non aveva (orfano di madre, il padre è ignoto), da un paese, nell’entroterra siciliano, che non lo ha mai accettato, nato com’era dal peccato. Ma al proprio destino non si sfugge. Vinicio è un personaggio che oppone il rifiuto alle cose del mondo, che si afferma negando, questo solo egli può dirci: ciò che non è, ciò che non vuole essere. Non è – ad esempio – il nome che la nonna ha scelto per lui, giudicato troppo brutto: per questo, assieme al nonno, si è dato nome Vinicio; e non vuole essere soldato, per questo diserta e fugge. La narrazione procede, con uno stile sobrio, scarno come il paesaggio rurale sulla sfondo. per segmenti di testo, in un continuo andirivieni temporale. Un viaggio attraverso il tempo che conduce il lettore ora avanti ora indietro, come a voler richiamare altro viaggio, quello nei diversi luoghi compiuto dal protagonista della storia. Una costruzione – certo non facile – che l’autore sa proporci con convincente maestria.
Una lontana eco, una suggestione vaga, mi ha accompagnato nella lettura del libro, come un richiamo, o una sorta di filiazione. Mi riferisco a Conversazione in Sicilia di Vittorini. E sarà il viaggio, il ritorno alle origini, il dato più scopertamente somigliante e, certo, il mondo offeso percepito dal protagonista, ma soprattutto devono essere le tinte forti con sui sono fermati sulla pagina i personaggi, Vinicio e il nonno (quest’ultimo perfetto esemplare, se si vuole, di Gran Lombardo). A voler dar seguito alla suggestione, e in senso visivo, plastico, il richiamo è al tratto forte, marcato, dei disegni di Guttuso dedicati allo stesso romanzo di Vittorini. Tutta diversa, invece, la scelta linguistica operata dai due scrittori: vibrante di accensioni liriche la prosa di Conversazione; incisiva nella sobrietà, mono-colore quella di D’Agostino. Ma sarà bene non indugiare oltre nella suggestione, ché facilmente andrebbe a scapito dello scrittore esordiente.

Andrea D’Agostino – Mi mangiassero i grilli, pp. 93, € 10,00, Fernandel, 2005.

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