Di Antonio Aniante. Traduzione di Mauro Mirci.
La carovana dei vendemmiatori è da ore in marcia verso la vigna; il suo arrivo è previsto domani; tutti gli anni è arrivata senza un’ora di ritardo. Giunge da lontano alla sua vigna preferita; da generazioni torna tutti gli anni a questa vigna. Il proprietario della vigna scruta lontano, sulla strada principale, attende da un momento all’altro la comparsa dei suoi fedeli vendemmiatori; scruta la strada principale, perché ha fretta di raccogliere l’uva e di fare il vino; ma sa che i vendemmiatori non arriveranno che domani verso mezzanotte, sotto una luna enorme.
C’è, tutto attorno alla vigna, e nell’unica strada che delinea il paese, molto nervosismo, come alla vigilia di una festa sanguinosa; c’è un va e vieni di gente indaffarata che parla troppo e non fa nulla, che si agita per spaventare le ragazze. Il motivo di tanto tumulto è l’arrivo imminente dei vendemmiatori. Quando arriveranno vorranno trovare tutto pronto, anche il pasto, che consumeranno immediatamente, sulla strada, in piena notte. E per questo che il proprietario della vigna e tutta la sua famiglia, i suoi amici, i suoi parenti e i suoi servitori, corre dappertutto con le braccia ora cariche ora vuote. Solo la vigna è calma; la vigna, che ha sofferto durante le quattro stagioni, è ora bella, opulenta, dorata; si riposa, perdutamente stanca, voluttuosamente dimessa, coi suoi pampini coperti di grappoli pesanti; la vigna è là, immobile nella calura di settembre, è docile e attende le forbici che la spoglieranno della sua ricchezza; la vigna non muove un passo avanti né uno indietro, non si sposta di un millimetro, anche se sa del massacro che l’attende.
Vale la pena di contemplarla ancora oggi, perché domani sarà troppo tardi; domani comincerà l’opera di vandalismo, e la vigna sarà violata, depredata, sarà ridotta in uno stato pietoso, in uno stato di indescrivibile miseria, con le sue foglie che diverranno gialle a vista d’occhio, coi rami che si nasconderanno sottoterra. Vigna, bella vigna, donna distesa sulla terra, dalle mammelle innumerevoli e gonfie!Il giorno è trascorso, la notte è trascorsa, un altro giorno è passato, la sera scende e piomba sul paese; è l’ora magica e temuta dell’arrivo dei vendemmiatori. Il proprietario della vigna li attende in mezzo alla strada; la luna e le stelle fanno ala alla famosa carovana che sfila sotto i cipressi del cimitero e attraversa, al suono dei flauti, la porta del paese. Perché tanto timore nelle case al suo passaggio? Le finestre si chiudono; le porte vengono sprangate, si vedono svuotarsi i pergolati, i cortili, i pozzi e le piazze. In tutto il paese, un solo grido: arrivano i vendemmiatori! Le mamme trepidano, i padri fremono, le ragazze arrossiscono dietro alla persiane.
Ecco il corteo variopinto dei terribili vendemmiatori, affamati e assetati di tutto e di tutti; ecco che, senza alcuna resistenza, il paese ha aperto le porte a questi vincitori, a questi seduttori; ecco che il proprietario della vigna li accoglie con gesti e parole da schiavo ipocrita.
Appena arrivata, la carovana occupa i marciapiedi; il capo ordina il riposo. Comincia l’orgia che durerà sino al mattino; è una fame e una sete da guerrieri che hanno molto marciato, duramente combattuto. La luna illumina facce da patibolo, magre, pelose e dagli occhi fiammeggianti. Nelle loro urla si sente il trionfo; mentre mangiano non posano le armi, fucili, randelli, pertiche, né gli strumenti, che vanno dallo scacciapensieri al putipù. Vecchi e bambini formano un grosso grappolo che ondeggia, come agitato da un vento robusto. Le donne sono fiere del loro gozzo e gli uomini spalancano volentieri le grandi bocche cavernose.
– Mangiate, bevete, cantate, suonate, danzate – urla il proprietario della vigna; quest’anno il vino sarà buono e abbondante!
Così dicendo getta il pasto alla tribù dalla finestra. Per tutta la notte i vendemmiatori fanno baldoria, improvvisano delle serenate indiavolate; poi, esausti, dopo aver provocato invano i maschi del paese, crollano sulla paglia delle stalle.
Ma più perfida di essi è l’alba, che sorge prima del tempo per rovinarne il loro sonno di piombo. Il proprietario della vigna è già in piedi, alla testa della sua famiglia, dei suoi amici e parenti, dei suoi servitori, dei suoi animali, cani, cavalli e vipere, la frusta in mano, la pistola in tasca. Strappa bruscamente i vendemmiatori dal loro letargo: – La festa è finita! – ripete con una voce aspra per l’insonnia. E’ diventato d’un sol colpo un altro uomo; ieri mellifluo, ora aggressivo e dispotico.
Grugnendo, bestemmiando, i vendemmiatori si alzano; dei secchi d’acqua gelata li svegliano alla meno peggio. Eccoli in fila, armati, che si lanciano all’assalto della vigna brandendo i coltelli e gemendo. Il massacro comincia. E’ come un odio che esplode, odio o passione folle compressa durante un anno. La bella vigna sanguina sotto i loro colpi feroci; la calpestano senza pietà; riempiono di uva i panieri, corrono a scaricarli nel torchio, dove i loro compagni schiacciano sotto i piedi i grappoli ancora agonizzanti. Il sole s’è fatto alto, il furore dei vendemmiatori aumenta; è la miscela crudele che odora già di mosto, è il corpo a corpo con la vigna, che eccita e rende folli i vendemmiatori, lordi di polvere, di sudore, di succo rosso e nero da dare la nausea. Spengono la sete con il vino potente; a mezzogiorno sono già ebbri e scoppiano le risse, che il proprietario seda con grande fatica.
L’assalto alla vigna dura dall’alba al tramonto, la battaglia è finita. Svuotati, storditi, i vendemmiatori si assopiscono sulla soglia delle case serrate. Non resta più nulla della violenza dei loro sensi, del loro spirito combattivo; non sono più che stracci nauseabondi sparsi al suolo, pietose rovine umane. Il sole si è appena levato che il proprietario li invita ad abbandonare il paese. Silenziosi, docili, i vendemmiatori ripartono; lenti, curvi, s’appoggiano ai bastoni e zoppicanti s’allontanano verso le campagne, verso la via del cimitero, sotto la rugiada del mattino tutto profumato d’uva, e i cipressi sono i soli a dir loro addio.
Partita la tribù, timidamente il paese rinasce, le porte e le finestre si aprono, le ragazze si fanno di nuovo vedere, e dappertutto si parla dei vendemmiatori. La vigna, la bella vigna, presa d’assalto, saccheggiata, spogliata, mutilata di tutti i suoi seni gonfi, resta ormai scheletrica, smorta; nell’abbandono assoluto, nella solitudine funebre, resiste a cavallo tra autunno e inverno. Come in preda al rimorso, il suo proprietario va a nascondersi nella cantina più profonda, all’ombra dei grandi tini che fumano di zolfo.
Titolo originale: Les vendangeurs de l’Etna. Traduzione di Mauro Mirci.
Il traduttore ringrazia Enzo Barnabà per il racconto e per la supervisione benevola al lavoro di traduzione.
La versione originale è disponibile qui .
Alcune annotazioni
di Enzo Barnabà
Antonio Aniante scrisse i cinque racconti che compongono la raccolta “Voyage en Sicile”, di cui Les vendangeurs de l’Etna fa parte, nel maggio del 1948 dopo un deludente brevissimo viaggio di tre giorni nell’isola natale. Soggiornava per ragioni terapeutiche a Peïra Cava, villaggio di alta quota immerso tra gli abeti delle montagne alle spalle di Nizza; un soggiorno che si rivelò fertile dal punto di vista della produzione letteraria: scrisse in italiano sette racconti (poi tradotti da André Maugé e da Lucienne Grosz) ispirati ai luoghi in cui si trovava e ad alcune drammatiche vicende che vi si erano da poco svolte ed in francese i cinque del “Voyage en Sicile” che non si rifanno al viaggio da poco compiuto, ma compongono piuttosto un itinerario della memoria, un salto allucinato verso un’infanzia che si era svolta nei primi anni del secolo. I dodici racconti furono pubblicati nel 1949 a Parigi da Arthaud, sotto il titolo di “La forêt merveilleuse”. Ventidue anni dopo, nel 1971, un libraio mentonasco li ripubblicò, facendoli precedere da “Berck”, un racconto lungo che costituisce una sorta di diario scritto nel corso di un altro soggiorno terapeutico avvenuto in una lunare stazione balneare del Pas de Calais all’approssimarsi della seconda guerra mondiale. Il libraio, nel trasformarsi in editore, scelse il nome di “A la féérie monégasque” ed intitolò il libriccino (136 pagine in 16°) “La forêt merveilleuse et d’autres écrits”. L’edizione, stampata con cura da Sylvio Ariano nella nota tipografia Magenta di Mentone, fu limitata a 500 copie numerate. La sezione siciliana è dedicata a Simone, la donna conosciuta durante la convalescenza di Berck, che accompagnò poi Aniante per tutta la vita. Per quanto ne sappiamo, questa è la prima volta che uno di quei racconti viene pubblicato in italiano.
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