di Giorgio Morale
Raccolgo con piacere l’invito di paroledisicilia a parlare di autori siciliani poco conosciuti, grazie a una scoperta che devo a una segnalazione del giornalista agrigentino Gaspare Agnello, che si autoproclama affetto da “russellite” acuta. Grazie a lui ho letto, con stupore, da poco, La luna si mangia i morti: e mi sembra incredibile che sia pressoché uno sconosciuto anche presso chi frequenta abitualmente la letteratura un così gran scrittore. Certo, è facile dire che sono grandi scrittori Gadda, Tozzi o Fenoglio, con questi nomi si va sul sicuro.
Si rischia invece a dire che è un grande scrittore Antonio Russello. Comunque, a mio parere Russello non sfigura accanto a Vittorini o Tomasi di Lampedusa o Sciascia o Bufalino.
Antonio Russello nasce a Favara nel 1921 e muore a Castelfranco Veneto (dove insegnava Lettere) nel 2001. Nel 1960 pubblicò con Mondadori il suo primo romanzo (La luna si mangia i morti), che piacque a Vittorini. Sciascia gli dedicò una bella recensione su L’Ora. Con il secondo romanzo (oggi ripubblicato col titolo L’isola innocente) fu nel 1970 tra i finalisti del premio Campiello, insieme a Moravia, Cassola, Gadda, Soldati.
Il suo stile è solido, il contenuto è di sostanza. Pochi scrittori, mi pare, hanno caratterizzato così bene la Sicilia rurale: nelle sue pagine c’è sapore di terra e polvere. Dirò di più: pochi scrittori, in Italia, hanno oggi tanta concretezza di lingua e di contenuto. Ne La luna si mangia i morti trovo terra e storia, invenzione e personaggi che acquistano la dimensione del mito: e alla base la ricerca del padre, la grande avventura dell’Occidente, qui arricchita anche da richiami amletici, come il desiderio del bambino protagonista di vendicare il padre nei confronti di parenti indegni. Insomma, il libro è pieno di suggestioni, in proprio e in riferimento alla storia letteraria. Ma sempre giustificate da un “effetto di verità”. E poi c’è il rapporto città-campagna, un senso problematico di cosa è giustizia – e forse un intelligente giocarci -, la forte presenza dell’ignoto e della fatalità che ne fanno una specie di ballata popolare.
Giustamente si è parlato dei lavori di Russello come uno dei pochi casi di narrazione picaresca in Italia. Si è detto che il suo mondo abbraccia Verga e Lorca; e non si pensi a un residuo di neorealismo. La luna si mangia i morti si svolge per lo più sulle strade. L’isola innocente è per la maggior parte un racconto di viaggio (immaginario), quello che fa Giambattista (Vico) per andare da Napoli alla Svizzera a incontrare Giangiacomo (Rousseau), con cui ha intrattenuto una amichevole conversazione filosofica a distanza (tramite un piccione viaggiatore) su quale sia il miglior metodo educativo. E’ soprattutto un autentico conte philosophique, segno anche della capacità di Russello di cimentarsi in generi diversi. Questo romanzo ha levità, intelligenza. E’ percorso da una vivacità tutta popolaresca nella descrizione della vita nei vicoli di Napoli (molto gustoso l’uso del dialetto napoletano), emana la gioia di uno scambio intellettuale che ripaga di mille incomprensioni quotidiane. Attraverso le indiavolate vicende che racconta delinea una concezione tragica della storia e delle sue guerre farsesche, con echi che rimandano a Vico e alla tradizione meridionale.
Altre opere di Russello sono state pubblicate a suo tempo da editori minori: alcune si svolgono ancora in Sicilia (Storia di Matteo), altre a Venezia (La danza delle acque. A Venezia); e pare che ce ne siano altre inedite, alcune con un deciso carattere sperimentale: ci sarebbe di che soddisfare, insomma, sia un lettore popolare che un lettore colto.
La domanda d’obbligo è: come mai Antonio Russello è caduto nel dimenticatoio? Vigorelli ebbe per lui parole di ammirazione. Recentemente se ne è occupato Salvatore Ferlita. E adesso, quando l’editore Santi Quaranta ha preso a ripubblicarle, le sue opere sono puntualmente recensite da Matteo Collura sul Corriere della Sera: dove il giornalista recita il mea culpa, confessa “il rammarico di non aver parlato di questo libro (La luna si mangia i morti) mentre il suo autore era in vita. Ma così è la letteratura: una serie infinita di riconoscimenti postumi, di ingiuste graduatorie fomentate dai cantori e cultori del nulla di cui siamo tutti vittime e, nel nostro caso, anche involontari complici”. Quale miglior vetrina per uno scrittore? Come mai allora si fatica ancora ad accorgersi di Russello?
Prima si poteva pensare a motivi di tipo politico-culturale: che pesasse sul romanzo La luna si mangia i morti il fatto di riprendere l’immagine popolare del mafioso come eroe senza paura, dalla parte del popolo e contro un ordine sentito come estraneo. D’altra parte, il punto di vista del bambino adottato dallo scrittore a mio parere giustifica pienamente la connotazione positiva della figura del padre mafioso. In questo c’è verità. Ed è quanto basta. Si insiste poi molto sulla vita appartata di Russello, sul suo essere alieno dal petire e dal voler ricoprire ruoli pubblici. Tutto questo ha avuto certamente la sua importanza nel passato. Ma adesso?
Io l’ho trovato da sola, in libreria, Russello e lo adoro.
era il mio insegnante di lettere a castelfranco veneto anni 60 63 un vero insegnante ed un vero signore di cui conservo un caro ricordo