di Mauro Mirci
Il Baronello Lupo Lanzica Santa, giovane perdigiorno amante dell’amore, recatosi in visita al cugino, il Principe Ignazio degli Altavilla, Signori di Sperlonga, Agira e Pizzofeudo, Duchi dell’Ansèola, Conti di terra Castigliana, Gran Cavalieri dell’ordine di Malta e Confalonieri del regno e del Viceregno, gli confida l’amore per Miss Elisabeth Blackwood, nobile, straniera e capace di sconquassargli il cuore.
Intende sposarla. Sennonchè il Baronello risulta essere già fidanzato con Floretta, figlia diletta del Barone di Canicatti, polpacciuta e procace, la quale, invero, come scopriremo più avanti, ammaliò il Baronello Lupo con la grazia dei suoi piedini, ma giammai potrà competere in bellezza con la rivale albionica. Il saggio cugino Principe Ignazio eccetera (una sorta di “mefistofelico Virgilio che provoca inconti e ingarbugliamenti”), richiama opportunamente alla memoria di Lupo certe gesta giovanili del quasi suocero.
Pare che il Barone padre, infatti, sia stato coinvolto, a ragione di alcune dicerie sulla virtù della allora sua novella sposa, in una faccenda di ammazzamenti e mutilazioni. Un curriculum che induce a consigliare al giovane cugino un “necessario” periodo di degenza in Napoli, causa un malanno non meglio diagnosticato.
Prende così le mosse Cronache di prodigiosi amori, romanzo fantaeroticomico di Francesco Randazzo, barocco nello stile e spassosissimo nel ritmo e nelle espressioni, capace di evocare e coniugare atmosfere erotiche al calor bianco con la leggerezza della buona letteratura fantastica.
Randazzo si esibisce in un crescendo di invenzioni e trovate, virtuoso della parola e della citazione, sia colta sia popolare. Abilmente accosta l’elegia alla volgarità, astutamente sfrutta tale accostamento per donarci una prosa sagace e ironica, a tratti irresistibile, dissacrante sempre, infarcita di sicilianismi perfettamente incastonati nel testo.
Il linguaggio che Randazzo utilizza nasce dal fertile incontro tra il parlato isolano e le letture colte. E’ coerente ed efficace a illustrare una storia che richiedeva proprio quel linguaggio e nessun altro. Così, percorrendo la via della perifrasi e della simulazione ci si ritrova immersi in un mondo mediterraneo tangibile e popolatissimo, abitato da personaggi mostruosi – ognuno a modo suo – e forti. Ogni figura introdotta nella scena rappresenta una storia a se, un esploso di narrazione, dona profondità al testo e lo rende stimolante e divertente.
Tra baroni iracondi, inventori stralunati, canonici lussuriosi, donne imbalsamate in una stucchevole visione dell’amore, ricercatori incapaci di osservare la semplice evidenza, bravacci croati, cani affetti da flatulenza, danzatrici esotiche e mostri a vapore, la storia offre, a ripetizione, occasioni di godimento salutare e necessario a noi poveri lettori d’inizio millennio, troppo spessi soverchiati da una letteratura che della essenzialità e della gravità sembra aver fatto propria ragione di vita.
Francesco Randazzo, “siciliano della diaspora, in salutare esilio romano e sovente col cervello in fuga all’estero” dipinge con sapienza un quadro ricco di dettagli. Con tecnica quasi cinematografica illustra la scena e gli avvenimenti, sposta il punto di vista, fa indossare ai personaggi costumi d’epoca di fedele riproduzione, studia battute secche e mordaci, ovvero lunghi eloqui stordenti ricchi di incidentali e subordinate, coerentemente finalizzati a illustrare un frammento della Sicilia nobile e provinciale della prima metà dell’800.
Cronache di prodigiosi amori va letto in piedi e a voce alta, possibilmente di fronte a una platea cordiale e incline all’allegria.
Può essere letto, in verità, anche in perfetta solitudine, in silenzio e sdraiati, la sera prima di prendere sonno.
Ma non è la stessa cosa.
Francesco Randazzo – Cronache di prodigiosi amori. 2005, Lampi di stampa, Milano
Pp. 124, € 13,00. ISBN 88-488-0380-6
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